martedì 22 settembre 2009

Attenti al lupo

di Andrea Passamonti
Illustrando un recente studio che si proponeva di dimostrare la straordinaria intelligenza dei cani, il professor Stanley Coren faceva notare che quando un umano punta qualcosa il lupo guarda al dito, mentre il cane a ciò che viene puntato.
In politica, però, il problema si fa differente: una prova fondamentale di scaltrezza è data dalla capacità di comprendere quando è necessario guardare l’oggetto indicato e quando il proprietario del dito.
È questo il caso delle ultime esternazioni dell’asse Pdl-Lega: si punta il dito contro il nemico per nascondere i molti, moltissimi problemi all’interno del partito e in quest’ottica l’affaire Fini-Berlusconi è solo la punta di un iceberg molto più profondo.
Non ci sarà da stupirsi se a fronte di nuovi problemi interni alla maggioranza si moltiplicheranno le sparate e gli attacchi al nemico afghano o a quello comunista, in un ottica di narcotizzazione generale in pieno stile Quarto Potere.Che fare, dunque, per orientarsi in questa giungla di insulti e accuse ? Ovviamente provare a essere un po’ meno cani e un po’ più lupi.

Eredità involontarie


di Stefano Pietrosanti
“Via dalle linee, prendiamo il fucile, forza compagni alla guerra civile!” l’inno di Potere Operaio, era il 1967. Lo cantavano tante belle voci; potenti, motivate. La maggioranza di loro ci credeva? Non penso proprio, la buona parte di loro era buona borghesia animata – perfino – da idee nobili seppure stupide, che non sarebbe mai andata alla “guerra civile”, ma che, presa da un certo dannunzianesimo della rivolta, si concedeva il gusto di sentirsi guerriera. Resta comunque il fatto che le parole dette erano quelle. Ora mi chiedo, chi è divenuto il vero erede di quelle inquietanti urla al vento? Tralascio volutamente i figli ideologici della minoranza armata, sparuti e innocui; a me viene in mente un uomo, è basso e fa il Ministro della Funzione Pubblica. Da poco ha detto che “la sinistra parassitaria deve andare a morire ammazzata”, ma – più importante – da un po’ più di tempo parla di teorici colpi di stato ad opera di gruppi di pressione. Colpo di stato, ossia “atto violento o comunque illegale atto a provocare un cambiamento di regime”. Sì, Renato Brunetta, il nemico del sessantottismo, è in questo incosciente erede dei suoi errori; in quanto singolo e in quanto simbolo di una folta schiera di persone che, soprattutto a destra, ha portato con sé un brutto vizio del periodo: lo scarso peso dato alle parole. Il linguaggio è il limite del nostro mondo e, in politica, è l’unico mezzo in grado di tracciare l’orizzonte delle prospettive. La parola è parte integrante dell’azione, se detta sulla pubblica scena. In questo ambito, ad esempio, chiedere morte significa uccidere a metà, chiedere la rivoluzione violenta è fertilizzante per i fucili e urlare al colpo di stato dove nulla c’è chiama, alla lunga, violenza e illiberalità. Non mi soffermo sullo sproloquio contro le élite di quest’uomo, nato dal fastidio per essere stato da sempre messo a margine dai salotti bene, mi soffermo sui suoi toni, suoi e del suo schieramento. Mi soffermo sul travisamento del vocabolario italiano compiuto dalla maggioranza di una generazione che ora è al governo; sull’idea condivisa da molti nel sedicente partito liberale di massa gemellato con la lega: che in una democrazia si possano propugnare istanze anche legittime con parole violente, anti-sistema, oltre qualsiasi decenza e che richiamano ogni tre per due una visione politica quanto meno manesca, se non di piombo, senza che poi si danneggi la democrazia in sé per sé. Mi voglio soffermare – e voglio che quel qualcuno che legge si soffermi – sul fatto che proprio una presa alla leggera del vocabolario da parte dei democratici degli anni venti, portò chi invece le parole dette le prendeva sul serio a cancellare lo stato di libertà democratica. Non succederà oggi, perché qui siamo nel triste regno della farsa e non della tragedia, ma lo spettacolo è ugualmente degradante.“Nasce il Partito dell’Insurrezione” cantavano i ragazzi di Potere Operaio. Sbagliavano, in questo Stato il partito dell’insurrezione, della rivolta perenne e fine a se stessa, autofagocitante, è vivo da quasi un secolo ed emette grida di ottima salute.

martedì 15 settembre 2009

Quando il libro si fa donna


di Claudia Giannini
Lo diceva Virginia Wolf che per diventare una scrittrice, una donna ha bisogno di una stanza, di un luogo tutto per sé da consacrare alla scrittura. Oggi il sogno s’è avverato. Sono migliaia le donne nel mondo divenute famose grazie alla loro penna. Si è chiusa domenica la tredicesima edizione del festival della letteratura di Mantova e anche lì le scrittrici sembrano averla fatta da padrone. Spiccano Margaret Mazzantini e Muriel Barbery, autrici di libri di successo come ‘Venuto al mondo’ e ‘L’eleganza del riccio’. Due donne, due storie, due successi, ma un’unica passione. Sono due esempi per tutte coloro che hanno un sogno, un’ambizione e vogliono votarvi la propria vita. Grazie grandi donne, continuate così.

Bossi – Fini: attrito nella maggioranza


di Martina Nasato

La crisi istituzionale in cui il Paese versa ormai da diversi anni, sembra si stia evolvendo in “confusione istituzionale”. Nello specifico: il Parlamento è spesso e volentieri scavalcato nella sua funzione legislativa; il Presidente della Camera, Fini, si comporta da Capo dello Stato, come garante della Costituzione rispetto alle scelte dell’Esecutivo; il Presidente della Repubblica, Napolitano, “fa l’opposizione”, o almeno da contraltare, invitando il Governo al confronto parlamentare; l’opposizione intanto organizza Feste Democratiche, con tanto di “gioco delle tre carte”: Bersani, Franceschini o Marino? Ora, con enorme sforzo di immaginazione, si lascino da parte scandali e scaldaletti che hanno coinvolto colui il quale si autodefinisce ormai il più grande statista italiano. La tensione dei rapporti all’interno della maggioranza parlamentare è innegabile. Lungi da me auspicare un divorzio politico fra Fini e Berlusconi, che sicuramente (per fortuna di quest’ultimo) non ci sarà. Eppure qualcosa che non va c’è, qualche attrito da appianare in tempi brevi fra Bossi e Fini. “Ognuno si suicida come vuole” è l’elegante commento del Senatùr alla proposta del Presidente della Camera di estendere il diritto di voto agli immigrati residenti nel nostro paese. Replica da Chianciano, Fini, intervenuto all’Assemblea degli Stati Generali dell’UdC (!), ricordando a Bossi che l’Italia ha anche dei doveri nei confronti degli immigrati. Dulcis in fundo, l’”esimio” parere di Gasparri, secondo il quale “Fini sbaglia quasi tutto” (sic!). Punti di vista. Il nodo della questione non è tanto chiedersi chi tra bossi e Fini la spunterà, quanto aprire gli occhi e prendere atto di come la maggioranza si spaccata da tendenze opposte e (sembra) inconciliabili. Inoltre, c’è da chiedersi perché su siffatte questioni, squisitamente politiche, il premier non intervenga. Ancora: strabuzziamo gli occhi davanti ad una possibile collaborazione fra Rutelli (Pd), Casini (UdC) e Fini (ex An, ora PdL), ipotizzata dallo stesso esponente del Pd. Infine, non si capisce perché tali argomenti vengano discussi sulle rive del Po o in un comizio di piazza o sulle pagine dei giornali, e non, come sarebbe di rigore, in Parlamento!

Pd: né emozioni, né proposte


di Claudia Giannini

Si è conclusa domenica la seconda “festa democratica” della Provincia di Latina ed è tempo di bilanci. In un clima di attesa per le elezioni del 25 ottobre per la segreteria nazionale del partito, si sono susseguiti gli interventi dei rappresentanti delle diverse mozioni.
È intervenuto Franceschini da candidato, presentato da Bevilacqua e Moscardelli. Si è avvicinato al palco con la sua schiera di fedeli accompagnatori e ha iniziato un discorso bello, certo, ma piuttosto retorico. Dopo forti accuse al governo sul fronte della crisi, ha parlato dei precari della scuola e dei tagli voluti dal Ministro dell’Istruzione. Ha accusato Berlusconi di minare le basi della democrazia e le libertà conquistate duramente dagli amici americani e dalla nostra resistenza. Il tutto condito da frequenti commenti autobiografici, proprio alla maniera del Cavaliere.
Non è mancata qualche osservazione sul futuro del partito. Non dovrà essere troppo eterogeneo, ma neanche troppo identitario, insomma in media stat virtus.
E forse il problema è proprio questo, l’estrema moderazione, il prospetto confuso di un futuro che non è ancora chiaro, neanche al Pd stesso, come la stessa Rosy Bindi ha confermato il giorno seguente nel suo intervento. “Il programma non ce l’abbiamo ancora e voi lo sapete” ha detto la Bindi dal suo palchetto. E il suo discorso, se è possibile, è stato ancora più formale e vuoto di quello di Franceschini.
Si è conclusa la festa ed è tempo di bilanci, dicevamo. Bilanci che non possono che essere negativi, di un partito che fa del contrasto alla destra, in primis a Berlusconi, l’unica sua ragion d’essere. Gli interventi politici, da sempre, sono strumento di trasmissione di ideali, netti e decisi. Ma non si sono visti, o meglio sentiti. Non sono emersi da quei discorsi, formalmente impeccabili, degli esponenti del Pd. Si sono sentite accuse e pareri, ma non proposte. E oggi, di fronte a un governo che si presenta sempre più autoritario, servono proprio proposte.
Pensare che il nome della festa è stato “La ricchezza delle e-mozioni”. Viene da chiedersi dove sia questa ricchezza.

martedì 8 settembre 2009

Punti di vista


di Claudia Giannini


Fin da quando era piccolo amava stare alla finestra, di notte ad immaginare altri mondi. Guardava le stelle come fori in quel manto di velluto nero e aveva sempre sperato di poterlo un giorno esplorare.
Ora, a ventisei anni, era chiamato ad affrontarlo quel cielo. Dopo tanti studi, concorsi, sacrifici, era stato scelto per la missione più importante dell'anno. Un'esplorazione senza precedenti. Sentiva di essere spaventato all'idea di lasciare il suo mondo, le sue sicure abitudini per trascorrere un periodo lontano dalla sua famiglia. Eppure quello era il suo progetto di vita. Era stato scelto tra tutti i suoi compagni e non avrebbe mai potuto rinunciare a un'occasione del genere.
Ormai mancava solo una settimana al decollo e i preparativi erano sempre più frenetici e stancanti. Tutto era curato nel dettaglio e lui si sentiva preparato a sufficienza. Il cielo lo guardava sempre, negli intervalli di riposo che gli erano concessi tra una simulazione e l'altra...
Decise di scrivere una lettera, doveva lasciare una traccia evidente di sè prima di andare via. E la scrisse per la sua famiglia.

...Deve essere impossibile, per noi abituati a tutto questo, pensare che ci possa essere altro nell'universo, eppure io sento che qualcosa oltre deve esserci. Non possiamo avere la presunzione di pensare che il nostro sia l'unico pianeta con delle forme di vita. La verità è che non ho mai creduto fino in fondo di avere l'esclusiva. Il cielo è troppo grande per essere tutto per noi...Ho sempre tentato di immaginare altri mondi, altri esseri viventi, altri tipi di vita. E l'unico modo che ho trovato per far tacere i miei dubbi è stato prepararmi per questa missione. Ho deciso di mettere in gioco la mia vita per l'ideale in cui credo e l'unica cosa che mi fa stare male è pensare che in questo modo potrei sacrificare anche la vostra felicità. E' una missione pericolosa, questo lo so. Ma spero sappiate che lo faccio perchè ci credo profondamente..
Credo che lì fuori ci deve essere qualcosa..

Smise di scrivere e guardò il suo cielo.
Le stelle, brillanti.
E poi lei, lo scopo della sua vita. Circondata dal quel colore azzurro meraviglioso. Il luogo da scoprire, il più lontano e affascinante, dove era sicuro ci fosse vita.
La Terra.
Infine partì.

Le mille balle blu


di Riccardo Di Santo
Che la sincerità non fosse sempre stata pane della nostra classe politico-dirigente è un dato di fatto che qualsiasi italiano di buon senso dà per scontato, infatti è parte della nostra millenaria cultura l’abilità del riuscire a capire quando una persona vuole dolosamente raggirarci. Peggio ancora ci comportiamo di fronte all’ipocrisia, che tutti sappiamo intravedere con un minimo di conoscenza dei fatti e che spietatamente critichiamo tra un caffè e la lettura di un giornale. Cosicché assaporando i mass media nella loro quotidiana dispersione di notizie, affrontiamo situazioni che in gran parte d’Europa provocherebbero proteste e relative dimissioni, ma qui ormai neanche il più lieve sintomo di sorpresa. E allora cosa vuoi che importi che l’On. D’Alema gridi al pericolo per la democrazia e la libertà di stampa, proprio lui che come Presidente del Consiglio lodò Mediaset come “grande risorsa del Paese”? Cosa vuoi che importi che il Premier. Berlusconi di fatto minacci l’Unione Europea del blocco dei lavori se si avranno ancora critiche dell’operato dell’Italia (o semmai del suo governo in materia di accoglienza agli immigrati)? Soprattutto cosa vuoi che importi dopo che lo stesso è andato a fare un discorso commuovente in Tunisia all’insegna della fratellanza globale e dell’accoglienza in Italia per gli immigrati (cosa che la Lega Nord non accetterà mai in ordine di preservare la razza padana? Oppure cosa vuoi che importi che il talentuoso regista Tornatore risponda acidamente agli elogi del Presidente del Consiglio con supposta aria di superiorità, ma che poi il suo film “Baària” sia distribuito sia da Mediaset che da Medusa, entrambe di proprietà della famiglia del Premier (del genere “pecunia non olet”)? La risposta è semplice: finché ciò non ci creerà diretti problemi non ci importerà. Non ci sveglieremo dal nostro torpore civico per una e una sola ragione: il nostro opportunismo, anch’esso parte della nostra millenaria cultura.