martedì 29 dicembre 2009

Kaela, figlia del mare


di Claudia Giannini
Kaela era figlia del mare. Era nata tra le onde, ma non aveva visto la luce, perché era nata nel buio. Quel buio nero che crea il mare quando s’abbraccia al cielo. Aliya la partorì in silenzio, con un pezzo di stoffa tra i denti, per non disturbare gli altri cento che pregavano. Pregavano per la prima vittima di quel viaggio di speranza, abbandonata dolcemente tra le onde perché non c’era posto per i morti su quella barca. E proprio su quel gommone tra due terre la morte lasciava il posto alla vita, in un angolo di mondo senza tempo, dove il passato s’univa al futuro.
Se l’era tirata su dalle cosce Aliya, e l’aveva avvolta in un coperta di lana spessa, che prima era servita a proteggere la pancia e ora a proteggere Kaela, ancora viola di prima vita.
Erano partiti in tanti dalla Somalia, Aliya s’era fatta un fagotto e aveva ricercato il coraggio in fondo a sé. L’aveva aiutata Sadiiq. Vai tu, io arriverò. Vai a partorire in paradiso, io ti raggiungerò. Ed era partita. Era partita per lei, per il suo uomo, ma soprattutto per la figlia che aveva in grembo.
I primi dolori erano arrivati nella lunga strada dalla Somalia all’Egitto e poi alla Libia e il sentore di un parto improvviso s’era insinuato dentro di lei, ma ormai era troppo tardi per rinunciare ad imbarcarsi. A Tripoli li aspettavano gli scafisti. I soldi ce li aveva nascosti nel petto, risparmi di una vita spesi per la vita.
S’erano imbarcati di notte ed erano tanti, troppi in quei gommoni così stretti. Le ragazze che aveva conosciuto Aliya non le rivide mai più, s’imbarcarono diversamente.
Sapeva che ci sarebbe voluto tanto, almeno venti giorni e venti notti a tenersi saldamente pregando la clemenza del mare. E sapeva che avrebbe conosciuto la morte, le si sarebbe presentata nei visi spenti di chi non sarebbe sopravvissuto.
Dopo il primo, di morti abbandonati ne erano seguiti altri. E altri ancora. Ma a ogni braccio che Aliya vedeva scivolare nell’acqua, cercava di concentrare la sua attenzione sugli occhi di sua figlia. Erano celesti, vivi, anche se la sofferenza s’era già insinuata in quel corpicino troppo debole. Di latte ne aveva Aliya e doveva lottare con le forze che l’abbandonavano giorno dopo giorno.
L’acqua era finita il diciannovesimo giorno e s’era portata dietro le speranze. L’unica fonte di energia era il canto. Un canto sibilato, dolce, che sussurrava cullando la sua piccina, avvolta nel poco calore che riusciva a trasmetterle. C’erano momenti in cui la sua vista si annebbiava e doveva lottare per mantenere conoscenza. Era il pianto di Kaela a tenerla viva, perché finchè c’era pianto, c’era vita.
Non capì quando gli altri cominciarono a gridare. E neanche quando la sollevarono dalla barca cercando di rassicurarla. Probabilmente capì di avercela fatta solo quando si svegliò in un letto caldo accanto a un’incubatrice in cui dormiva dolcemente Kaela, con un pugno piccolo piccolo appoggiato accanto al volto. Furono i colori a farla sentire bene. Fu il contrasto tra lo scuro cioccolato della pelle della sua bambina e il bianco candido dei lenzuoli che l’avvolgevano.
In quel contrasto c’era la vita. E quel bianco era semplicemente un nuovo inizio.
Non aveva paura Aliya, l’aveva sprecata tutta su quel gommone. Ora le rimaneva la tranquillità, la consapevolezza che tutto doveva necessariamente andare meglio. Perché il difficile doveva essere passato.
Pensò a Sadiiq, a quando l’avrebbe raggiunta. Era certa che lui ce l’avrebbe fatta a sopportare quel viaggio, perché l’amava troppo per abbandonarla.
È sugli occhi di Kaela che si chiude questa storia. Su quegli occhi inconsapevoli e celesti, su una bambina che crescerà guardando il mondo e credendolo l’unico possibile, senza ombra di ciò che di diverso invece esiste. E si chiude sulle labbra carnose di Aliya, nel momento in cui si schiudono in un sorriso, per il solo fatto di aver cambiato il mondo di sua figlia, di averle regalato un universo migliore in cui vivere e averla salvata dal dolore che invece aveva segnato lei.È così che si chiude questa storia. Su due occhi di bambina che osservano con curiosità il proprio papà, dopo cinque anni di attesa. E con le labbra carnose di Aliya che toccano quelle di suo marito, dopo cinque anni di attesa.

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