martedì 22 febbraio 2011

Il futuro è alle porte


di Riccardo Di Santo

Mentre la nostra città è impegnata nel vivere giorno per giorno nella sonnolenza tipica della cittadina di provincia, a livello governativo i sindaci di tutti i capoluoghi d’Italia si sono riuniti per discutere del progetto del federalismo fiscale e demaniale. Perché vedete, mentre qui si discute di liste civiche, Moscardelli o De Marchis e ci si scanna tra “Fazzoniani” ed ex-An, il mondo, ma perfino la nostra sempre uguale Patria, vanno avanti. Ora le domande sono due: quale sarà il ruolo assegnato alla città di Latina e alla sua comunità (ovvero la pianura Pontina)? Ma soprattutto, sarà un ruolo che avremo scelto coscientemente od uno che ci verrà imposto e al quale ci dovremo adattare? Non sappiamo effettivamente nulla di quello che ci aspetta (a meno che non si tratti di voci di corridoio). Non sappiamo se avremo possibilità di crescere e aumentare il nostro peso politico-sociale a livello territoriale e nazionale oppure rimanere in una recessione culturale ed economica perenne. Il federalismo pone un enorme ammontare di responsabilità su tutti noi, e se Roma, con l’istituzione di “Roma capitale”, ha già fatti salvi i finanziamenti statali a sé, noi come città cosa abbiamo progettato, ideato od organizzato per il nostro futuro? Saremo una città dormitorio per i Romani, una città universitaria o riusciremo ad estrapolare una via autonoma che ci permetta di migliorare senza essere alla mercé dei piani altrui? Poi in primo piano si pone il discorso dell’ambito fiscale: quale sarà la tassazione comunale in virtù dell’avvento del federalismo? Ricordo con dolore la foto dei consiglieri comunali che, ridendo allegri come all’uscita di scuola, camminavano sotto i portici di Piazza del Popolo senza avere nessuna coscienza delle conseguenze per la nostra città, lasciata senza guida nel momento in cui sarebbe stato più importante cioè ora. Cosa importava loro, tanto non riescono a vedere al di là dei parcheggi della circonvallazione assegnati ad una società pluridebitrice, figurarsi tali soggetti ideare progetti ad ampio raggio per il nostro avvenire! Iniziamo a porci domande e a darci risposte come Latinensi o, se volete, Pontini. E’ in gioco il nostro divenire una città del centro-sud degna di questo nome in grado di influenzare con il suo modello le altre a livello nazionale oppure una cittadina provinciale dal quale si scappa per cercare un realtà diversa che offra chances di futuro. Proviamo con l’iniziare a prendere ad esempio le altre realtà demograficamente eguali a noi, non solo Italiane, e a creare da questo riscontro un progetto affine al nostro territorio e alla nostra realtà.

P.s. il parcheggio alla stazione coperto e le adunate varie di Alpini, Bersaglieri e Crocerossine non sono considerabili primi passi se non vecchi di 30 anni!

Vince Vecchioni e con lui la musica vera


di Claudia Giannini

Quest’anno ha vinto la poesia. L’ha portata Roberto Vecchioni sul palco dell’Ariston. Ha tolto di mezzo le canzonette sentimentali dei Modà di turno e per una volta ha vinto la musica vera. “Chiamami ancora amore”, un titolo semplice e diretto, che nasconde però un testo ricco di spunti riflessivi. Un occhio alla realtà della nostra Italia, tra ideali che non s’arrendono e giovani nelle piazze. Un inno accorato alla passione delle idee, alla dignità del lavoro, all’umanità dell’uomo.

La vittoria di Roberto Vecchioni dunque è grande cosa. Primo per la canzone vera, fatta da un pianoforte vero e da un testo ricco di contenuti. Secondo perché può essere interpretata come il simbolo di un’arte che non si piega al sistema. E per sistema intendo il circolo commerciale che trova la sua massima espressione nel Festival di Sanremo degli ultimi anni, dove si affermava Valerio Scanu con una canzone che scontata è dir poco, mentre l’orchestra disgustata lanciava spartiti in aria.

Gli Italiani hanno premiato l’arte. Unico rammarico il fatto che per parlare d’arte si debba guardare indietro, a un cantautore regalatoci dagli anni Settanta e arrivato fino ad oggi ancora con perle da regalarci. Nel frattempo i giovani, vedi Emma o la stessa Anna Tatangelo, si votano alla forma, che pure è importante, dimenticando però che qualsiasi forma d’arte è prima di tutto comunicazione ed espressione di contenuti. Che i giovani abbiano poco da esprimere, delusioni d’amore a parte? Assolutamente no. E ne sono l’esempio i tanti gruppi talentuosi sconosciuti al grande pubblico, ma apprezzati ad esempio dal popolo del web. Semplicemente il mercato musicale premia il connubio tra testi poco impegnativi e presenza scenica, condita da virtuosismi vocali. E chi vuole emergere, anche se i contenuti ce li ha, sceglie di lasciarli a casa per adeguarsi al target di superficialità richiesto.

Ecco perché Vecchioni è uno scacco. Arriva dal passato con una musica ricca e si afferma sulla leggerezza commerciale. Per una volta gli Italiani hanno premiato la poesia.

Che il risveglio dell’arte sia buon auspicio per il risveglio della società.

Il mio nome è Bond, Euro-Bond


di Stefano Pietrosanti

Parlare di e-bond sembra starsi dimostrando più di una moda passeggera, un’idea brillante o un fazzoletto da taschino da sfoggiare nei meeting interministeriali. A prima vista potrebbe apparire un buon segno, soprattutto per i fautori di uno Stato Europeo che non abbia paura di se stesso e di tutelare i suoi cittadini. Ma riflettiamo assieme.

Un monito ce lo da il professor Spaventa nel suo intervento in una recente conferenza sui rischi fiscali all’università La Sapienza di Roma, facendosi (e facendoci) la domanda : “Ma cosa vanno a finanziare questi e-bond?”

Perché l’ipotesi più in voga è che queste obbligazioni europee servano a rinnovare una frazione dei debiti nazionali pre-esistenti, divenendo in parte assicurazione per gli investitori della solvibilità continentale e in parte strumenti di un mercato di credito agevolato cui gli Stati potrebbero accedere per rifinanziare una certa quota di debito, magari anche – mi viene da pensare – le nuove quote marginali, ossia più a rischio e più difficili da finanziare.

Anche questo potrebbe essere un passo avanti, ma c’è un abisso tra una simile operazione e un emissione di debito europeo per finanziare progetti europei che un domani renderanno più semplice la vita a cittadini dell’Unione, fruitori di grandi servizi continentali costruiti con lo sforzo – quantomeno finanziario – di tutti.

Il problema, come mai chiaro ed evidente, è la dannata pericolosità di far convivere delle istituzioni piccole, spesso impotenti e sempre permalose come le nostre patrie nazionali, con un teorico mastodonte-Unione che però è rappresentato da una classe politica normalmente rinunciataria e quiescente, che guarda troppe volte a se stessa come legittimata non dalla volontà maggioritaria dei cittadini europei, ma dall’indulgenza delle nazioni. In una simile situazione, con il tira e molla connaturato a una dolorosa crisi di lungo periodo, si profila la possibilità che il pensiero a breve termine dei governanti trasformi - tramite un istituto veramente federale quale sarebbe un debito pubblico europeo - l’Europa nella bad-company delle loro disfunzionanti case madri.

Se si fa un debito continentale, ma la legittimazione democratica dei decisori di ultima istanza è a livello nazionale, ci si potrebbe avviare verso una palude di liti su chi deve pagare cosa. Così le istituzioni europee mettono la loro faccia sui mercati senza chiedere un briciolo di sovranità in più e, soprattutto, senza avere una voce chiara e pronta a difenderle se, in un futuro non troppo lontano, qualcuno tentasse di farle passare per “sanguisughe che chiedono gli interessi, spennando le povere nazioni indifese”, castroneria che già mi sembra di sentire nella bocca di coloro che riescono a sostenere che sarebbe non dannoso, possibile e persino auspicabile un ritorno alle valute nazionali.

C’è una questione di fondo che gli Europei devono cogliere nella sua fastidiosa concretezza: il loro voto democratico porta all’elezione di soggetti che sono sempre meno capaci di mutare la legittimazione popolare che gli viene data in un azione politica di governo. Governi che non possono governare, ossia che non possono dare una forma concreta e razionale alla volontà popolare, tendono per legittimarsi a scippare il ruolo ai Parlamenti, ossia credono di essere depositari di una sovranità, quando invece di una sovranità dovrebbero essere interpreti ed esecutori; da qui, a preservare il proprio ruolo di classe dirigente in quanto tale (un tempo si diceva oligarchicamente) il passo è molto breve e forse già compiuto.

Ma che storia…


di Matteo Napolitano

Il giorno venerdì 25 febbraio ’11 alle ore 20.30 presso il cinema Oxer di viale P.L. Nervi a Latina, si terrà un incontro-dibattito con il regista Gianfranco Pannone e Ambrogio Sparagna sui centocinquant’anni dell’unità d’Italia.

A seguire verrà proiettato il film “Ma che storia: i primi 150 anni d’Italia” di G. Pannone.

L’ingresso è libero quindi partecipiamo numerosi!

giovedì 17 febbraio 2011

Semplicemente Fenomeno


di Fabrizio Bossoli

Arrivava senza preavviso, annunciato solo da una zigzagante scia di polvere e sabbia. A velocità supersonica Ronaldo, il Beep Beep venuto dal Brasile, avanzava lungo il campo da calcio che già sembrava il deserto del Gran Canyon. Avanzava e sollecitava i boati dagli spalti, avanzava travolgendo i difensori avversari, che trovavano a malapena il tempo per accorgersi che “quello lì” già se n'era andato; ed a loro, malcapitati Willie Coyote di turno, non restava che alzare il cartello con su scritto “The End” ed aspettare i titoli di coda, che inevitabilmente arrivavano nel momento in cui, scartato anche il portiere, Beep Beep depositava il pallone in fondo alla rete. Il Fenomeno, lo chiamavano. Lui sorrideva e con quei dentoni già tornava ad assomigliare ad un cartone animato, veloce e brillante e imprevedibile. Come descrivere Ronaldo a chi non l'abbia mai visto giocare? Si potrebbe raccontare di un centravanti senza eguali, senza dubbio il miglior giocatore degli ultimi 50 anni dopo Maradona; ma non sarebbe sufficiente. Si potrebbero descrivere le sue giocate, il doppio passo ubriacante, lo scatto formidabile, i dribbling mai banali, i tiri non potenti ma che finivano invariabilmente nell'angolino basso, imparabili. Gli avversari non erano manichini da umiliare per ottenere cliccatissimi video su youtube, come tanti usano oggi; erano semplicemente ostacoli, che in linea retta si interponevano tra lui ed il goal. E di goal Ronaldo ne segna tanti fin da giovanissimo: a soli 21 anni capocannoniere col Barcellona, poi il blitz di Massimo Moratti che paga la clausola rescissoria di 48 miliardi di lire per portarlo all'Inter; il Fenomeno ricambia trascinando la squadra a stravincere una Coppa UEFA ed a sfiorare uno scudetto più per fattori extra-calcistici che per reale superiorità della Juventus. Vince anche il il Pallone d'Oro, poi l'anno dopo arriva il primo grave infortunio al tendine del ginocchio destro. Passano sei mesi, ma al ritorno in campo contro la Lazio il ginocchio fa di nuovo crack dopo sei minuti, e la carriera di Ronaldo sembra finita. Ed invece, dopo una riabilitazione di due anni, nel 2002 rientra in tempo per condurre il Brasile alla vittoria nel Mondiale di Sud Corea-Giappone ed ottenere il suo secondo Pallone d'Oro. Passa poi al Real Madrid, dove vince il campionato e la classifica cannonieri. Seguono altri due anni al top, poi gli evidenti problemi di peso ed i numerosi infortuni impongono all'ex Fenomeno un declino proseguito nella parentesi di un anno e mezzo al Milan e nel suo ritorno in Brasile al Corinthians. E proprio da San Paolo ieri ha annunciato il suo ritiro, dichiarando: ”Smetto perché non ce la faccio più, penso a un'azione ma non riesco a farla come vorrei. E' stato comunque bello in un modo pazzesco”. Tutto ciò che noi possiamo aggiungere, Ronnie, è che è stato bellissimo anche per noi.

martedì 15 febbraio 2011

Nasce il “Libero orto del Parco San Marco”


di Martina Nasato

Il Parco San Marco è una grande area verde poco al di fuori della circonvallazione del capoluogo pontino, nei pressi dell'ospedale. Usato prevalentemente dai cittadini per praticare footing o per portare a passeggio i cani, è da tempo semi-abbandonato a se stesso in uno stato di degrado progressivo, rallentato da periodiche (quanto sommarie) opere di giardinaggio. I giovani “vandali” che popolano questo vasto giardino pubblico a tutte le ore del giorno e della notte sono tristemente noti agli abitanti del quartiere, per non parlare dei tossicodipendenti, soliti abbandonare siringhe nelle aiuole. C'è un motivo, dunque, se le potenzialità dell'area non sono state finora sfruttate al meglio, se i genitori sono poco propensi a portare i bambini a giocare lì e se nessuno si è mai preoccupato di tentare un'opera di “bonifica”. Fortunatamente ci sono battaglie che vengono intraprese non per la certezza della vittoria, ma per la nobiltà dei loro obiettivi. Ragionando sull'importanza delle aree verdi (decisamente scarse e maltenute a Latina) e sul senso della “cosa pubblica” (che è di tutti, e non di nessuno, come molti erroneamente credono), un gruppo di volontari si è riunita la mattina di sabato 12 febbraio per creare un “orto libero” in una grande aiuola del parco, piuttosto isolata. Una vera e propria azione di “Guerrilla Gardening”, il movimento internazionale di giardinaggio libero, il quale promuove azioni dirette e non violente, di protesta, ma soprattutto di proposta. Quindici giovani alberi, da frutto e non, sono stati interrati nell'arco della mattinata, con tanto di etichette in cui si indica la tipologia di pianta e il modo in cui essa va curata. L'iniziativa ha inevitabilmente catturato l'attenzione dei passanti e riscosso grande consenso ed entusiasmo da parte degli abitanti del quartiere. Costoro si sono detti scettici circa la riuscita del progetto, a causa dei frequenti atti di vandalismo, ma disposti ad impegnarsi attivamente per la manutenzione e la salvaguardia del piccolo orto. I volontari hanno redatto un breve vademecum, in cui si invitano tutti i cittadini ad usufruire con moderazione dei frutti dell'orto, ma, parallelamente, ad averne cura e, magari, ampliarlo. Unica regola, niente chimica. Per concimare sono ammessi solo gli scarti organici prodotti in casa: banditi fertilizzanti e antiparassitari. Il “Libero orto del Parco San Marco” non è ancora riconosciuto dalle istituzioni; d'altra parte, come diceva Voltaire, «gli uomini discutono, la natura agisce». Tuttavia ci auguriamo che il riconoscimento avvenga quanto prima, portando con sé la tutela adeguata per questo primo passo verso la riqualificazione.

Nostra Signora dell’Ipocrisia


di Andrea Passamonti

Scopro con spiacevole sorpresa che per qualcuno tutto il polverone sollevato dal letto di Putin si potrebbe ridurre a una semplicissima diatriba tra due prototipi: chi andrebbe a letto con il Presidente del Consiglio e chi invece si guarderebbe bene dal farlo. Questo sembra essere il pensiero delle signore intervistate all’entrata del Teatro Dal Verme, poco prima di partecipare alla manifestazione promossa dal Foglio di Giuliano Ferrara. Ma non voglio parlare della manifestazione. Non per snobbarla, sia chiaro, ma semplicemente perché ho avuto modo di vederne solamente una piccola parte e non sarebbe corretto estrapolare da quella parte un tutto che potrebbe essere diverso. Qualche parola è però doverosa.

In democrazia una coerenza di pensiero è d’obbligo: non si può sostenere il contrario di quanto si è detto un’ora prima, altrimenti non è possibile discutere razionalmente. Così striderebbe con il buon senso la vecchia imbellettata che apprezza le scelte amorose del Presidente, ma magari è appena uscita dalla parrocchia di quartiere dove si sono condannati l’uso del preservativo e la copula non finalizzata alla procreazione. Voglio tralasciare, solo per amor proprio, la possibile partecipazione al Family Day.

Si è parlato di neopuritanesimo ipocrita. Se questo è vero (e probabilmente lo è da entrambe le parti), allora i massimi esponenti di questa non tanto nuova tendenza si trovano tra il pubblico di chi questa tendenza vuole condannarla.

Gli argentini hanno una felice espressione per indicare un uomo coerente, tutto d’un pezzo: hombre vertical. Buona parte degli italiani, probabilmente perché di un altro emisfero, preferisce posizioni più orizzontali. Tutto questo crea una prostituzione che è prima di tutto intellettuale e solo secondariamente fisica. Il dittatore non è Berlusconi, come sostengono in troppi, ma Nostra Signora dell’Ipocrisia. E basta guardarsi in giro, senza spiare dal buco della serratura, per capire che nelle segrete stanze di Nostra Signora non si usa il preservativo.

“Ricreazione”, ovvero quando la radio incontra il liceo


di Martina Nasato

“RicreAzione” è un progetto promosso da Radioluna e realizzato da un gruppo di studenti del Liceo Classico “Alighieri” di Latina. Sotto la guida di due speaker, promotori del progetto (Pietro Giannelli e Walter Viti), una cinquantina di ragazzi, divisi in quattro gruppi, stanno scoprendo come funziona una trasmissione radiofonica in tutte le sue parti, dalla scelta degli argomenti da trattare, al montaggio, allo speakeraggio. Ogni gruppo frequenterà la sede di Radioluna per tre pomeriggi a settimana, imparando a conoscere e utilizzare i programmi di gestione dei file audio, fino alla completa realizzazione di un proprio format radiofonico, della durata di circa un'ora. L'attività si protrarrà fino a metà aprile, e i gruppi partecipanti si sfideranno per vincere, attraverso i voti espressi dal pubblico, un premio messo in palio dai vari sponsor. Sabato 12 febbraio è andato in onda il format realizzato dal primo gruppo, “Sesso senso”, dedicato all'amore in tutte le sue fasi. Un simpatico preludio alla festa di San Valentino, di cui sarà trasmessa una replica sabato 19.

martedì 8 febbraio 2011

La rivoluzione, no i social network


di Alessandro Lanzi

La stampa internazionale da settimane segue con attenzione la rivolta esplosa in Tunisia, Algeria ed Egitto, che rievoca per noi im-potenti occidentali un passato quasi del tutto dimenticato. Pur essendo solidale con la causa della rivolta, da cui spero scaturisca una vera rivoluzione, non posso fare a meno di notare un aspetto singolare, che i giornali ripropongono di continuo e che in Inghilterra e in America è diventato oggetto di dibattito: la rivoluzione avvenuta grazie ai social network. Sono d’accordo sul fatto che i mezzi di comunicazione giochino un ruolo fondamentale nella fase dell’organizzazione di un qualunque evento che raccolga più persone, soprattutto se provenienti da luoghi distanti tra loro, ma da questo ad ammettere, come fa qualcuno, che la rivolta stia avvenendo grazie ad un mezzo e non per un fine è veramente assurdo. Tutti conosciamo la rivoluzione francese o quella americana o quella messicana, avvenute in epoche in cui la gente era per larga parte analfabeta, eppure le rivoluzioni sono state fatte lo stesso. Perché? Perché alla base della rivoluzione ci sono un forte sentimento di malessere e precarie condizioni di vita del popolo, subordinato al potere che lo tiene in gabbia, che si traducono nella volontà e poi nell’azione diretta a distruggere la gabbia, per rifondare un sistema nuovo, che risponde alle esigenze del popolo stesso. Questo almeno in teoria. Inoltre bisogna fare i conti con alcune statistiche: in Egitto il 21,2% della popolazione accede ad internet, in Tunisia il 34% e in Algeria il 13%. Questo dimostra come in fondo non sia stato così determinante l’impiego dei social network per far scaturire la rivolta. Malcolm Gladwell, dalle colonne del “The New Yorker”, mostra inoltre altri limiti legati alla rivolta che impiega i social network: 1- tutti sono “amici” e non si crea un’organizzazione gerarchica, che si assuma la responsabilità di alcune decisioni 2- su internet nessuno compie sacrifici necessari 3- i social network aumentano la partecipazione ma diminuiscono la motivazione 4- spesso coloro che si occupano della rivolta su internet non si trovano nel luogo in cui avviene 5- non si creano strategie. A queste io aggiungerei c’è il totale controllo da parte del potere. Basta andare sul sito della “Repubblica” alla sezione esteri, per vedere che in Algeria, Tunisia, Egitto e in Cina le piattaforme Twitter e Facebook sono inaccessibili ed a Cuba e in Siria funzionano a singhiozzi. Questo significa che la rivolta è già finita? No, perché la gente ha fame di libertà, di giustizia, di uguaglianza ed anche di speranza. Queste sono le armi della rivoluzione. Intanto in Cina il governo si adopera per far si che, cliccando su un motore di ricerca la parola “Egitto” il risultato sia “about:blank”. Chissà se pure in Italia il Governo si sta adoperando al riguardo. A prima vista pare di si: Berlusconi per esprimere la sua solidarietà a Mubarak “sta vicino alla nipote”.

Necrologio Comunista


di Pierpaolo Capezzera

Pochi giorni fa, precisamente il 3 febbraio, è caduto l’anniversario ventennale dello scioglimento del Partito Comunista Italiano e, nello stesso tempo, si è pianta la morte della sinistra italiana. Infatti, dopo due anni di disquisizioni scaturite dalla caduta del Muro, la cosiddetta “Svolta della Bolognina” ebbe luogo, generando la prima grande scissione dell’ala rossa italiana degli ultimi tempi: la nascita del PDS e del Movimento di Rifondazione Comunista. La storia, a partire dalle elezioni politiche del 1992, ci insegna poi come questa azione abbia portato ad un calo dei consensi sempre maggiore, dovuto all’abbandono dei caratteri peculiari dell’allora PCI (che ricordiamo come il maggior partito comunista d’Europa e tra i maggiori nel mondo), in concomitanza con la degradazione della classe politica. Del resto, credo sia lampante la differenza abissale tra una figura come Berlinguer e una come D’Alema. Personalmente, quindi, giovedì scorso ho pianto la morte del sogno di un Paese libero, specie in un momento politico tragico come questo, tra puttane e barzellette internazionali. Il mondo sta entrando in guerra con l’oppressione, a partire dalle nazioni più in crisi, dove si lotta per un tozzo di pane. E l’Italia è dormiente, non ha più un punto di riferimento nella lotta al potere tiranno: gli eredi del pensiero comunista italiano, i discendenti di Gramsci, si interessano più a screditare l’avversario politico che a fare quello che i suoi “avi” han sempre fatto. Nulla di anacronistico in ciò, non mi riferisco alla lotta del proletariato, ma alla reale spinta del PCI: star vicino, essere il punto di riferimento per tutti coloro che non hanno i mezzi o le capacità per gestire da soli situazioni che vanno al di là di un singolo uomo. Ma, del resto, il partito nelle scorse elezioni si è espresso in modo solenne: “Noi non siamo il Partito dei lavoratori”. Considerando che l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro, direi che non è una cosa di cui vantarsi.

“San Remo”: protettore della censura


di Matteo Napolitano

“La censura è una buona cosa, poiché in tal modo ad ogni libro è garantito almeno un lettore attento”. Si pronunciava così il commediografo britannico Alan Ayckbourn e la sua lungimirante ipotesi calza a pennello non solo per i libri, a cui si riferisce, ma anche per svariate altre opere artistiche tra cui, senza dubbio, le canzoni.

Quest’anno, come tutti gli anni d’altronde, il festival della canzone italiana si è aperto con molti dibattiti riguardanti i testi dei brani in gara, tra tutte purtroppo è spiccata la querelle su un grande artista qual’é Roberto Vecchioni che presenterà il brano “Chiamami sempre amore”, il pezzo è dedicato al figlio ed ha come tematica principale le recenti proteste a difesa dell’istruzione pubblica e del libero pensiero.

Secondo l’opinione dei media vicini al festival e dei critici più “bacchettoni”, la canzone andrebbe ad alimentare un clima già di per sé molto teso coadiuvando l’entrata della politica all’interno di una manifestazione che dovrebbe rimanere “neutra” o almeno ritenersi tale.

Il testo della canzone non è ancora, aimè, reperibile in rete comunque, stando alle voci e alle varie trasmissioni che ne hanno dibattuto, le frasi analizzate e bollate dall’inquisizione sanremese dovrebbero recitare parole dedicate alla “bellezza dei giovani in piazza”, alla “giusta causa” delle proteste e “all’uccisone del pensiero”. Parole che tutt’altro sembrano fuorché aizzatrici di animi inquieti e alimentatrici di reazioni in qualche modo “violente”.

Non sono mancate fortunatamente le smentite e gli elogi a Vecchioni, un cantautore e professore noto per la sua grande cultura e per il suo impegno politico e sociale che lo ha visto, nel corso della sua carriera artistica e lavorativa, sempre attento alle tematiche legate ai giovani (vedi “Sogna ragazzo, sogna”).

In conclusione se è vero ciò che scriveva Wilde ossia che “Un'idea che non sia pericolosa non è degna nemmeno di essere chiamata idea” spero davvero che il festival diventi uno specchio vero della situazione socio-culturale del paese e non solo uno specchio rotto da sentimenti e sentori futili.

martedì 1 febbraio 2011

La comunità Europea


di Stefano Pietrosanti

Che cos’è una crisi? Il termine si potrebbe riassumere nell’immagine di una persona che, guardandosi allo specchio, non riesca a riconoscersi.

Una crisi che esca dalla mera dimensione economica e divenga crisi di sistema è un enorme svuotamento, un repentino accelerare del crollo di edifici mentali decadenti. Quale edificio è oggi più decadente delle nostre nazioni europee, prese nella loro singolarità? Certo, bene o male riescono ancora a soddisfare le necessità fondamentali dei loro cittadini, a difendere un rassicurante e fragile status quo. Ma nessuna comunità di uomini può essere solamente un’agenzia, per quanto efficiente, che distribuisca beni e servizi ai suoi associati, nessuna nazione è nata per essere solo questo. Le nazioni sono enti di mobilitazione.

Il fine, l’orizzonte di senso delle nazioni europee, era la promozione del sentimento della nazione in tutti i campi (dalla produzione, all’arte, alla cultura), nell’ottica di primeggiare su tutte le altre nazioni. Questo orizzonte ideale si è tragicamente risolto nelle due guerre mondiali, per perdere poi di senso. L’Europa era vista dai suoi padri fondatori appunto come luogo di superamento di tutto questo, in cui definire un nuovo fine comune che non fosse più destinato a mutarsi in tragedia comune.

Anche per questo oggi, nessuna ricetta economica, nessuno sgravio fiscale o rimodulazione dello stato sociale sembrano pienamente efficaci, almeno in Europa. Perché lo spazio in cui possono muoversi gli Europei - finché sono cittadini d’Europa solo su carta, di fatto costretti nella nebbia senza orizzonti delle loro patrie nazionali – è tragicamente asfittico e non può dare nuovi slanci, non può essere matrice di nuovi sogni, non può essere determinante di duratura crescita personale, economica, morale.

Con la convenzione a non agire, o – se strettamente necessario – ad agire lasciando le minori tracce possibili, con la miope ostinazione a non ribadire né riconoscere ufficialmente i propri simboli, con la somma di tutti i loro non esserci, le istituzioni europee vengono meno all’unico scopo politico per cui esistono: segnalare al popolo europeo alcuni problemi come problemi europei, generare soluzioni comuni e far partecipare tutti del piacere della scelta, dell’unica ricompensa giusta per la limitazione di se stessi. Solo l’aumento della libertà comune può giustificare una riduzione della libertà individuale; solo l’aumento della libertà comune può aggiungere alla naturale condizione di vita dell’uomo l’attributo della giustizia, senza il quale - nel lungo andare – né l’uomo, né la società possono sopportarsi, riconoscersi allo specchio, realizzarsi.

In questo momento, è chiaro più che mai che esiste un bene comune europeo, come un rischio comune europeo, di cui solo l’Europa interamente si può fare carico. Su questo, la sfida è costruire un nuovo progetto di vita sociale che permetta a tutti gli europei di immaginare e costruire un futuro condiviso, di vivere il senso vero della frase “uscire dalla crisi”: il respirare un clima di crescita, di orizzonti che si aprono sulla possibilità di un domani positivo, sulla possibilità di un miglioramento che sia solido e che sia per tutti.

Flatlandia, il punto e l'immancabile berlusconiano


di Andrea Passamonti

“Flatlandia” del reverendo inglese Edwin Abbott è un libro di divulgazione scientifica scritto alla fine del diciannovesimo secolo. Il protagonista, nient’altro che un semplice quadrato, introduce il lettore alla struttura del suo mondo a due dimensioni abitato da figure geometriche e racconta del suo viaggio nella spacelandia (il nostro mondo tridimensionale) e i suoi sogni nei mondi di linelandia e pointlandia.

Per quanto possa sembrare strano, questo racconto dal sapore fantastico sembra interpretare l’attuale situazione politica italiana. Il riferimento non riguarda direttamente l’affaire Ruby, che di politico ha ben poco, ma in un certo senso situazioni indirettamente collegate a questo.

Recentemente sarà capitato a molti di imbattersi in discussioni più o meno volgari sull’harem di Arcore, spesso animate da chi si schiera pro o contro le abitudini del cavaliere, discussioni in cui spesso il secondo cerca di spiegare al primo l’incoerenza e l’ipocrisia dell’atteggiamento del popolo berlusconiano. Ecco, se si guardasse dal di fuori uno di questi scambi di vedute ci si troverebbe nella stessa situazione del Quadrato di Abbott: questo, sogna di trovarsi in un mondo monodimensionale (sviluppato su una linea) e tenta di spiegare al suo Re (della linea, non del quadrato) l’esistenza di una seconda dimensione, ovviamente senza successo. Ma forse più eloquente ai nostri fini è l’incontro del quadrato con il punto, figura adimensionale che parla di sé stessa in terza persona (ricorda qualcuno?) e che non fa altro che lodarsi e compiacersi, perché «Esso è Pensatore, Parlatore, Ascoltatore, Pensiero, Parola, Audizione».

Come il punto, così il berlusconiano devoto.

Poscritto: Il reverendo Abbott mi scuserà per avere mescolato Flatlandia con le solite cose di casa nostra, ma questo passa il nostro convento e spero che un buon reverendo sappia capire e soprattutto perdonare le buone intenzioni. Il racconto, come ho in parte accennato all’inizio, offre l’opportunità di numerose analisi, ma soprattutto insegna a non guardare il mondo da una sola prospettiva e lo insegna soprattutto a noi abitanti di Spacelandia, nella speranza che aspirando ai segreti delle quattro e cinque dimensioni (e così via) possiamo contribuire «all’arricchimento dell’immaginazione e al possibile sviluppo della modestia, qualità rarissima ed eccellente».

Parcheggio multipiano di Latina Scalo: elitario e aristocratico


di Claudia Giannini

Ci eravamo già occupati del parcheggio multipiano adiacente la Stazione di Latina Scalo, a proposito dei ritardi nella realizzazione. Il parcheggio è stato aperto, ma del tutto inutilmente. Rispetto alle centinaia di automobili parcheggiate selvaggiamente in ogni spazio libero, la struttura faraonica di nuova realizzazione ne ospita ogni giorno, senza esagerare, cinque o sei. Questo perché, chiaramente, il pagamento del ticket è una tassa in più sulla circolazione dei pendolari. L’abbonamento ridotto costa 16 euro a settimana o 40 euro nella forma mensile. Decisamente un peso in più per coloro che sono già costretti a sborsare 78 euro mensili per l’abbonamento ferroviario. Ecco che il parcheggio multipiano diventa allora un’elitaria sistemazione per i viaggi brevi, saltuari e non per coloro che viaggiano tutti i giorni.

Dunque finanziamenti della Regione Lazio e soldi comunali che, a ben vedere, potevano avere diversa e più utile collocazione. E a proposito dell’inutilità del parcheggio multipiano, torna in mente il volto sorridente di Moscardelli che, dall’alto del suo manifesto elettorale, si lodava per aver ottenuto i finanziamenti necessari all’opera. Vorrei che venisse a vedere l’effettivo uso che si fa del parcheggio. Uno scenario imbarazzante. Tre auto, quattro, cinque a esagerare, occupano l’immenso spazio multipiano. Non penso si loderebbe ancora e non penso userebbe il parcheggio come spot. D’altra parte, guardando all’orizzonte politico della città, viene l’orticaria a pensare che l’unica alternativa al Centro-destra e agli ex-fasci-pentiti-ma-non-troppo, sia un Piddino col sangue democristiano che si vanta per la realizzazione di un’opera inutile. Povera città. Dall’idea folle di una metro leggera (quanto futile) alla realizzazione di un parcheggio da sogno (elitario e aristocratico). In tutto questo mezzi pubblici insufficienti e a Latina Scalo le auto ancora sulle aiuole.

Gli amici di Chiara


Lunedì 7 Febbraio alle ore 19.30, presso l’Enolojico di Piazza Roma ci sarà l’ultimo appuntamento con “Gli amici di Chiara”, un piccolo tour che negli ultimi mesi ha consentito ai partecipanti di abbinare una buona cena con la lettura del libro di Mauro Cascio “Gli amici di Chiara”. La serata è su prenotazione (cena e libro a 20 Euro). Per informazioni potete contattare il numero 3343537405.