martedì 1 febbraio 2011

La comunità Europea


di Stefano Pietrosanti

Che cos’è una crisi? Il termine si potrebbe riassumere nell’immagine di una persona che, guardandosi allo specchio, non riesca a riconoscersi.

Una crisi che esca dalla mera dimensione economica e divenga crisi di sistema è un enorme svuotamento, un repentino accelerare del crollo di edifici mentali decadenti. Quale edificio è oggi più decadente delle nostre nazioni europee, prese nella loro singolarità? Certo, bene o male riescono ancora a soddisfare le necessità fondamentali dei loro cittadini, a difendere un rassicurante e fragile status quo. Ma nessuna comunità di uomini può essere solamente un’agenzia, per quanto efficiente, che distribuisca beni e servizi ai suoi associati, nessuna nazione è nata per essere solo questo. Le nazioni sono enti di mobilitazione.

Il fine, l’orizzonte di senso delle nazioni europee, era la promozione del sentimento della nazione in tutti i campi (dalla produzione, all’arte, alla cultura), nell’ottica di primeggiare su tutte le altre nazioni. Questo orizzonte ideale si è tragicamente risolto nelle due guerre mondiali, per perdere poi di senso. L’Europa era vista dai suoi padri fondatori appunto come luogo di superamento di tutto questo, in cui definire un nuovo fine comune che non fosse più destinato a mutarsi in tragedia comune.

Anche per questo oggi, nessuna ricetta economica, nessuno sgravio fiscale o rimodulazione dello stato sociale sembrano pienamente efficaci, almeno in Europa. Perché lo spazio in cui possono muoversi gli Europei - finché sono cittadini d’Europa solo su carta, di fatto costretti nella nebbia senza orizzonti delle loro patrie nazionali – è tragicamente asfittico e non può dare nuovi slanci, non può essere matrice di nuovi sogni, non può essere determinante di duratura crescita personale, economica, morale.

Con la convenzione a non agire, o – se strettamente necessario – ad agire lasciando le minori tracce possibili, con la miope ostinazione a non ribadire né riconoscere ufficialmente i propri simboli, con la somma di tutti i loro non esserci, le istituzioni europee vengono meno all’unico scopo politico per cui esistono: segnalare al popolo europeo alcuni problemi come problemi europei, generare soluzioni comuni e far partecipare tutti del piacere della scelta, dell’unica ricompensa giusta per la limitazione di se stessi. Solo l’aumento della libertà comune può giustificare una riduzione della libertà individuale; solo l’aumento della libertà comune può aggiungere alla naturale condizione di vita dell’uomo l’attributo della giustizia, senza il quale - nel lungo andare – né l’uomo, né la società possono sopportarsi, riconoscersi allo specchio, realizzarsi.

In questo momento, è chiaro più che mai che esiste un bene comune europeo, come un rischio comune europeo, di cui solo l’Europa interamente si può fare carico. Su questo, la sfida è costruire un nuovo progetto di vita sociale che permetta a tutti gli europei di immaginare e costruire un futuro condiviso, di vivere il senso vero della frase “uscire dalla crisi”: il respirare un clima di crescita, di orizzonti che si aprono sulla possibilità di un domani positivo, sulla possibilità di un miglioramento che sia solido e che sia per tutti.

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