giovedì 27 gennaio 2011

Un giorno della memoria


di Lanzi Alessandro

A Nello Rosolino Rosolini e a tutte le vittime della crudeltà umana

Oggi, 27 gennaio, l'Italia e altri paesi ricordano, così come si legge all'articolo 1 della legge n.211/2000: "...la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati."
Nel titolo ho scritto, non a caso, "un giorno" e non "il giorno", perchè ritengo che la memoria non debba essere statica e circoscritta al solo 27 gennaio, come al contrario ci insegna la televisione, ma debba essere, da un lato ferma a quell'accadimento storico, unico nella sua portata, ma non nel genere, dall'altro mobile nel combattere giorno per giorno la discriminazione, che non è stata ancora estirpata dalla natura umana e che, al contrario, pare crescere sempre più.
Chi ha dimenticato l'indiano che venne bruciato a Nettuno un paio di anni fa o la ragazza marocchina del bergarmasco a cui fu incisa una svastica sul viso o quando nel maggio 2003 Latina finì sulle cronache nazionali per una serie di aggressioni razziste contro gli immigrati? E' anche questa la memoria che non deve perdersi, quella dei singoli eventi di oggi, che celano degli erorri del passato.
Quale rimedio a questo male? A mio parere solo la cultura. Non solo quella dei libri, che è pur importante per smascherare quelle falsità storiche e scientifiche, con cui si sono alimentate alcune ideologie, ma soprattutto quella parte della cultura che affonda le sue radici nel rispetto dei valori umani della dignità, della libertà, dell'uguaglianza e della solidarietà.
Oggi più che mai la nostra società e soprattutto noi giovani ne abbiamo persi di vista alcuni, che vanno però recuperati, per non cadere in futuro in ciò che proprio oggi ricordiamo.
Vorrei segnalare, a chi non condivide i valori prima citati o a chi non ha mai avuto modo di rifletterci, e forse ora è anche il momento giusto per farlo, due libri che mi hanno dato tanto in passato e di cui ne conservo lo spirito ancora oggi: "Stranieri come noi" di Vittorio Zucconi e "L'altro" di Ryszard Kapuscinski.
In conclusione vi lascio con una poesia di Nello Rosolino Rosolini, nostro poeta conterraneo, che ha vissuto dal settembre 43 al settembre 45 in prigionia, vittima della mano nazista:

"Ho sanguinato anch'io
la tua ferita mortale, la tua testa
si spaventò sulla mia spalla,
il fiato del mio urlo impregnò
l'ultimo tuo respiro.

Stringendoti al petto t'ho sorretto
per non lasciarti cadere
nella neve fangosa.
La macchia rossa
sul mio pastrano lordo
una piaga mai più risanata."

martedì 25 gennaio 2011

Unità di Pronto Intervento Circense


di Stefano Pietrosanti
Da mesi ormai viviamo col legittimo sospetto che il Presidente del Consiglio di questo paese passi le sue nottate in sollazzo con prostitute di bassa lega e con ragazzette sventurate; se questo non fosse sufficiente a stimolare l'indignazione, possiamo accendere la televisione e constatare il passo avanti fatto nel campo della guerriglia mediatica dagli scherani di Berlusconi. Dall’allusione, dall'omissione interessata, siamo passati alle "unità di pronto intervento circense".
Squadracce di personaggi prive di rispetto di se, ancor prima che degli altri e dell'ordinamento democratico, organizzano spettacoli di alto contorsionismo giornalistico, come la dubbia testimonianza di Ruby dal contritissimo Signorini, o performance istantanee, come il letterale assalto al treno inscenato dalla signora Santanché presso Annozero. Perché questo fanno, opera da esperti giullari, scenette da bassofondo, pianti, urla, rumoreggiamenti e giravolte da circo. Godi popolo, che sono arrivati gli effetti speciali! Questo sono, nient’ altro, le urla della Santanché che confonde con voluta sciatteria New York e Washington, dicendo a Zucconi “vedi che sei un giornalista da poco, infatti ti hanno mandato in America”, cose palesemente senza senso. E poi giù a gridare che chi la guarda basito è un trombone di sinistra.

I tromboni di sinistra. Che vuol dire? Vuol dire mutare in spregio ciò che spregio non dovrebbe essere, d’altronde, chi sono i tromboni di sinistra? Facciamo un identikit: benestanti ma non ricchi, abituati per convinzioni personali e tradizioni acquisite a considerare sacri quei fragili idoli che sono la morigeratezza, il rispetto della cosa pubblica, ciò che è riassumibile nel pur relativo concetto di “buon gusto”. Allora si vede facilmente che è solo un mascheramento, un effetto speciale, etichettare come “di sinistra”, tutto questo. Non è sinistra, è un assieme di valori pre-politici in un sistema democratico-liberale, valori anche un po’ conservatori, in quanto facenti parte di quel basamento di regole comuni necessarie a conservare le forme e la sostanza degli ordinamenti nati dalle rivoluzioni democratiche europee. Perché è qui il punto: se indago, il mio schifo, la mia ripulsa, la mia rabbia per tutto questo non nascono da radici valoriali ascrivibili in qualche modo alla sinistra, al progressismo europeo di cui mi sento convinto sostenitore. Ciò che per primo si rivolta in me e da parole al mio ribrezzo è più profondo, è un assieme di sentimenti, di sensazioni da conservatore, intendendo la parola nel senso proprio del termine, riferita ai valori che penso dovrebbero essere acquisiti in una comunità retta da una Costituzione repubblicana.

Io sono di sinistra, ma nell’oppormi a questa nauseante azienda circense, mi sento meglio descritto da un termine coniato dal grande francese Edgar Morin: droitier-gauchiste.

Le donne sono un’altra cosa


di Lucia Orlacchio
Le pagine di cronaca di questi giorni ci mostrano il lato femminile più squallido dell’Italia di oggi: ragazze, talvolta adolescenti, disposte a metter a nudo e ad usare il corpo per raggiungere i propri obiettivi percorrendo la via del successo e del guadagno facile, piuttosto che dell’impegno e del sacrificio.

Certo, ogni individuo ha la libertà di scegliere cosa fare della propria vita, il modo in cui rispettare se stesso e il proprio corpo ma paradossalmente lo stesso corpo che per secoli è stato limite delle donne, prigione della creatività e genialità femminile, ora sembra diventato il mezzo normale per farsi largo nella vita. Gli eventi recenti infatti ci fanno sembrar ancor più distanti i tempi delle rivendicazioni femminili grazie alle quali le donne, lottando in difesa delle loro idee e dei loro diritti, hanno rovesciato lo stereotipo tradizionale della donna madre – nutrice relegata nell’ambito domestico poiché ritenuta inferiore all’uomo. Nel XIX secolo la bellezza esteriore, il corpo femminile erano per Mary Wollstonecraft, madre del femminismo, uno “scrigno dorato” in cui però era rinchiuso lo spirito: lunga è stata la “schiavitù femminile” e lenta l’emancipazione che ha avuto negli anni ’60 uno dei suoi momenti principali di svolta, ma oggi la donna può ancora esser considerata come merce di scambio per il suo aspetto fisico, o ancor peggio è essa stessa ad “investire”sulla bellezza fisica utilizzandola come strumento di guadagno. Sembra cosi che tutto lo sforzo delle donne verso l’emancipazione sia ignorato e calpestato: la stampa, la televisione, la pubblicità ci bombardano quotidianamente con le immagini di modelli sbagliati che dietro un’apparente libertà nascondono tanta, troppa arretratezza.

Perchè c’è arretratezza quando si sceglie di usare la bellezza piuttosto che far fruttare il proprio intelletto e c’è arretratezza quando il mondo mediatico non considera le donne che ogni giorno scelgono di continuare la strada dell’emancipazione studiando, lavorando, sacrificandosi ma sempre nel pieno rispetto della “sacralità” del corpo femminile.

Tanti auguri Signor G


di Alessandro Lanzi
Esattamente settantadue anni fa, nasceva a Milano uno degli artisti più poliedrici che l’Italia abbia mai visto sui suoi palchi: Giorgio Gaberscik, in arte Gaber.
Inizia la carriera artistica come chitarrista in vari gruppi, come i Rock Boys di Celentano, che da Milano tentano la strada del successo, finchè non sarà lui a percorrerla, ma da solo, dal 1960 fino al 2003, anno in cui è morto. Gli anni sessanta lo vedono presentatore sui generis di ben nove programmi Rai, in cui concatena la conduzione al canto, alla recitazione dei primi monologhi ed alla satira. Questi ultimi due ambiti costituiranno il terreno sui cui si dipana tutta la sua successiva attività artistica, che “rinasce” nel 1970, quando ormai stufo della televisione conformista tenta una formula mai provata in Italia, quella del teatro-canzone, di cui oggi gli riconosciamo la paternità. Sul palco il multiforme Gaber si mostra come un attento sociologo, indagatore della realtà italiana, di cui mette a nudo i vizi e le virtù, descrive i padroni sfruttatori “I borghesi” e i lavoratori sfruttati, come in “Il tic”. Pensatore anticonformista anticlericale e cittadino partecipe della vita politica, prende le distanze dai partiti e dai loro dirigenti. Emblematici sono al riguardo, oltre la celebre “La libertà”, i brani “Il voto”, in cui irride sui politici che ancora oggi siedono in Parlamento , e “Il corrotto”, che sembra, per noi oggi, il pensiero di Berlusconi riguardo le donne.
La visione sempre più pessimista della società italiana, che lenta scivola in un processo di decadenza non solo politica, ma anche culturale, sociale e civile trova espressione nell’ultima opera che Gaber ci ha lasciato “La mia generazione ha perso” a cui farà seguito, dopo la morte, la pubblicazione dell’album “Io non mi sento italiano”.
Oggi non so quanti lo ricorderanno, ma quelli che lo faranno tengano bene a mente il sunto della sua opera, volta ad affermare l’unicità del singolo individuo, che rimane tale finchè pensa, critica e agisce: “…terminologicamente la parola massa non ha senso ed è forse un’invenzione delle scienze sociali, per cui tutto ciò che viene fatto per la massa viene fatto per un’entità inesistente”.

Ricordando un amico aiutiamone tanti


Venerdì 28 Gennaio ’11 alle ore 20.30 presso l’Auditorium “M. Costa” di Sezze, situato in via Piagge Marine, si terrà il concerto di beneficenza “Ricordando un amico aiutiamone tanti (in ricordo di Luciano Colabattista)”.

Sul palco si esibiranno “Joe D’Urso and The Backstreet” e la serata sarà condotta da Dina Tomezzoli.

L’ingresso è di 10 euro e l’incasso sarà totalmente devoluto alla Croce Rossa Italiana. Partecipiamo numerosi!

martedì 18 gennaio 2011

La Costituzione che resiste


di Riccardo Di Santo

Già si sentono i comunicati da parte dei cortigiani del reale di Arcore squillare alle televisione: “l’ordine democratico è stato sovvertito!!”. Poco importa se a strillare siano distruttori di siti archeologici o avvocatesse trasmigrate dall’ostile nord alla soleggiata Reggio di Calabria. Noi da bravi sudditi crediamo, obbediamo e non ci interroghiamo. Sfortunatamente per loro, noi de L’Agronauta siamo proprio dei cattivoni perché vogliamo riportare (non me ne vogliano i politici del centrodestra) i fatti. La sentenza dello scorso Giovedì ha dichiarato illegittimi costituzionalmente i commi I, III e IV dell’art. 1 della legge 51/2010 detta “Legittimo Impedimento”, ma perché?

La legge in realtà era composta di due soli articoli che stabilivano: l’uno che per il Presidente del Consiglio dei Ministri e per i Ministri costituiva un impedimento legittimo, già previsto dall’art. 420ter del codice di procedura penale, l’esercizio di una o più delle attività di governo cosicché l’udienza dei tribunali andavano sospese di volta in volta; l’altro che tale legge si applicava finché non fosse stata emanata un legge costituzionale contenente la stessa sostanza di questa. La corte ha riscontrato una violazione degli artt. 3 (principio di uguaglianza) e 138 (procedimento di legge costituzionale) cost. di due commi più l’illegittimità del primo comma se interpretato in maniera diversa da quella stabilito dalla stessa corte. Il comma III dell’art. 1 stabiliva il dovere del giudice su richiesta di Palazzo Chigi, di rinviare l’udienza senza dover controllare la natura o la inderogabilità dell’impegno usato come giustificazione; Il comma IV sempre dell’art. 1 stabiliva invece la possibilità che, sempre su richiesta di Palazzo Chigi, in vista di un impegno duraturo si poteva avere il rinvio dell’udienza per un periodo non superiore ai sei mesi. Cioè in poche parole tali commi affermavano che se il Presidente aveva voglia di saltare un’udienza per impegni giudicati da lui improrogabili (Ad esempio la sagra del carciofo di Sezze) inviava un’informativa al giudice e questo era obbligato a rinviare l’udienza senza poter contestare nel merito l’impegno addotto; se poi l’impegno era continuativo secondo Palazzo Chigi (la sagra che dura un po’ di più del solito) allora il rinvio poteva durare fino a 6 mesi. Infine la corte ha giudicato l’art 1, primo comma, legittimo ma solo se interpretato in conformità dell’art. 420ter c.p.p. In poche parole una sentenza impeccabile, anzi perfino “soft” rispetto ai pronostici su questa legge chiaramente incostituzionale, che di fatto rispedisce al mittente le solite e noiose accuse di Tizio, Caio e Bondi.

Le donne, il Cavalier, i Pm, gli amori


di Pierpaolo Capezzera

Non e' un paese libero quello in cui alcuni magistrati conducono delle battaglie politiche usando illegittimamente i loro poteri contro chi e' stato democraticamente chiamato a ricoprire cariche pubbliche": le parole del premier, ormai ridondante ritornello del Festival Canoro della Politica Italiana, ricordano molto da vicino l’espressione della figura parodica dei “nazisti dell’Illinois” dal film “The Blues Brothers”: “L’ebreo sta usando il negro come muscolo contro di voi.” Questo vittimismo casareccio, infatti, sembrerebbe più appropriato per una macchietta che per un importante figura politica. E allora, questo comico emergente ci ha regalato un altro spettacolo gratuito (per modo di dire, visto e considerato quanto paghiamo la sua presenza): alla luce delle indagini sul suo conto riguardo la stella dello scandalo italiano, Ruby, e una brutta storia di prostituzione minorile, il nostro Orlando si scaglia ancora una volta contro la magistratura comunista che, scatenandone la proverbiale Furia, lo induce a dichiarare che non si presenterà in tribunale. Il premier ha infatti affermato di non aver mai pagato delle prestazioni sessuali, né tantomeno di averlo fatto con la signorina Ruby, essendo lui legato sentimentalmente sin dalla fine del suo rapporto con Veronica Lario. E chi potrebbe mai dubitare della fedeltà di codest’uomo, sempre devoto e fedele alle sue mogli? Mai una battuta, o un’occhiatina maliziosa al decolté di un’altra donna, mai uno scandalo sessuale con le sue Ministre, mai un accenno alle sue doti di amatore e alle sue conquiste! Del resto, si sa, un attento praticante del “Bunga Bunga” non può che amare (biblicamente parlando) che una donna alla volta. Dunque basta con queste calunnie: Ruby non è la sua amichetta allora minorenne, è solamente l’accusa che gli rivolge chi lo fronteggia.

“Borg-screzio” e il realismo padano


di Matteo Napolitano

Mario Borghezio non si smentisce mai ed ogni volta che prende a cuore una causa ci regala perle di inconfutabile saggezza.

Stavolta ad essere colpiti dalla lingua lunga e meschina “d’Er Polenta” sono stati i terremotati dell’Abruzzo definiti, realisticamente, “peso morto per il paese” a seguito delle passate richieste di maggiore assistenza post-terremoto. Ma cosa c’è di grave in questa affermazione? No dico, perché passare alla condanna senza processo quando di mezzo c’è del sano “realismo padano”?

Usando un po’ di mal-sano “realismo terrone” oserei dire che i terremoti, in quanto entità politica e fenomeni di “massa petrosa” distinguibile, sono inevitabilmente nemici della Padania perché, già dai tempi dell’Irpinia, si facevano portavoce di necessità che avrebbero gravato sul settentrione mostrando l’inefficienza delle amministrazioni territoriali del meridione e confermando, per di più, la naturale tendenza delle disgrazie, rinomate per il vizio di andare sempre e ostinatamente “dal basso verso l’alto”. Spesso però tra una malignità e l’altra interviene un po’ di buon senso (non padano).

Poche ore dopo la sparata a zero infatti Burghy-Borghezio ha precisato il suo pensiero dicendo che “mai e poi mai” sognerebbe di fare illazioni su un popolo che ha sofferto e sta soffrendo e che “mai e poi mai” si prenderebbe gioco di problemi così rilevanti per il paese.

Tornando al buon senso padano però, Borghezio non ha risparmiato la battuta sulle alluvioni in Veneto ponendo l’accento sull’operatività del binomio popolazione/ istituzioni locali e inevitabilmente puntando il dito su chi, a sua detta, non ha fatto in modo che lo stesso binomio fosse operativo anche in Abruzzo, dimenticando probabilmente le farse e i compleanni ricchi di belle favelle che si sono celebrati tra quelle macerie.

In conclusione vorrei spendere quattro parole offensive nei confronti dell’identità politica di Borghezio perché un paese che vota dev’essere un paese consapevole delle proprie scelte, consapevole quindi di appoggiare un fascista a pieno titolo ex-militante di “Ordine nuovo”, un razzista anti-integrazione e un terrorista dei valori sanciti dalla costituzione, democratica ed europeista. E insomma!

Bravo Matteo quando ci vuole, ci vuole, belle parole, però spegni il computer che Borghezio è appena arrivato in parlamento.

Le radici del razzismo in Europa


Con l’avvicinarsi della giornata della memoria Sabato 22 gennaio ’11 alle ore 18.00, il comune di Sezze in collaborazione con l’associazione “Araba Fenice”, situata in via Garibaldi, 9 (Sezze), presentano una conferenza dal titolo: “Le profonde radici del razzismo in Europa”.

Interverrà sul tema come relatore il prof. Alberto Burgio, ordinario di Storia della filosofia e direttore del dipartimento di filosofia dell’università di Bologna.

La conferenza si terrà presso la sede dell’associazione e l’ingresso è libero.

Partecipiamo numerosi!

martedì 11 gennaio 2011

La mensa di Rifondazione arriva al quinto appuntamento




di Martina Nasato

La voglia di stare insieme e di lavorare fianco a fianco per costruire qualcosa, o almeno per migliorare quello che già c'è: è questo che negli ultimi mesi ha guidato i compagni di Rifondazione Comunista nei cinque appuntamenti di servizio mensa per i poveri e i senzatetto del capoluogo pontino. I volontari non si sono fermati neanche il 25 dicembre e il 1 gennaio: hanno saputo regalare a tutti un vero Natale e un incoraggiante inizio dell'anno. Iscritti al partito e non, si sono riuniti l'ultima volta domenica 9 gennaio, per offrire un pasto caldo e quattro chiacchiere a persone troppo spesso dimenticate e ignorate. L'appuntamento era alle 18.30 presso il dormitorio di via Cellini, nei locali dell'ex Consorzio Agrario, una cena solidale a base di pasta, riso, pollo cotto alla brace sul momento, e qualche dolce. Avventori di tutte la nazionalità, italiani, est-europei, nord africani, asiatici, hanno condiviso le loro esperienze con i volontari: c'era chi era arrivato in Italia da pochi giorni, chi cercava lavoro, chi lo aveva perso da poco, e alcuni di loro non mangiavano da tempo. Costantino, un signore romeno, si meravigliava del fatto che dei comunisti distribuissero pasti gratuiti, memore della tirannia subita nel suo paese: “Non so com'è il comunismo qui, ma Ceauşescu...” lasciando in sospeso una frase molto eloquente. Poi ha aggiunto allegramente: “Viva i comunisti italiani”. Un ragazzo arabo ha ringraziato Dio per essersi saziato. Appena dopo un paio d'ore era finito tutto: tra lo stupore dei volontari, era rimasto solo qualche frutto e del panettone. In seguito, qualche avventore ha anche aiutato i “compagni” a sparecchiare e a smontare i tavoli e il gazebo.

Una doppia vittoria quella di Rifondazione se si considera che la Caritas ha annunciato che da fine gennaio amplierà il servizio mensa, aggiungendo turni anche nel fine settimana, e che questa iniziativa è stata riproposta recentemente da altri partiti, a riprova del fatto che la solidarietà può, anzi deve, andare oltre il colore politico. Anche perché è proprio da queste iniziative che parte la riqualificazione del territorio, il raccordo tra i vari strati della popolazione e la ricerca di punti di incontro e condivisione. Una rivoluzione gentile, per usare una definizione ormai comune, uno stravolgimento del tessuto sociale, che finalmente si mischia, si confonde e soprattutto si arricchisce.

Qualcosa si muove in città. Speriamo solo che l'entusiasmo non si esaurisca appena dopo le elezioni.

(Si ringrazia Andrea Bulgarelli per le foto)

Questa materia non s’ha da fare


di Andrea Passamonti

Al Papa non va a genio l’educazione sessuale. Non è una novità, vista la perseveranza con cui la Chiesa spesso si è scagliata contro il profilattico come strumento di prevenzione nei confronti dell’HIV, ma dopo la pseudo-apertura dello scorso novembre (con cui si giustificava l’utilizzo del preservativo da parte dei “prostituti” in alcuni casi specifici) le ultime dichiarazioni di Ratzinger costituiscono l’ennesimo passo indietro.

Se però di novità si vuole parlare, non si può glissare su un altro punto dell’intervento del Sommo Pontefice: se da un lato si condanna l’educazione sessuale, dall’altro si contesta anche l’educazione civile impartita nelle scuole, perché entrambe «trasmettono concezioni della persona e della vita presunte neutre, ma che in realtà riflettono un'antropologia contraria alla fede e alla retta ragione».

Escludendo da questo articolo l’ennesimo elogio del crocifisso, che meriterebbe un’analisi a parte, l’intervento di Benedetto XVI va discusso prendendo in esame due diverse concezioni di istruzione.

Nel suo libro “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” Robert Pirsig da una definizione dell’obiettivo di quella che lui chiama “La Chiesa della Ragione”: «Il fine ultimo è rimasto quello socratico della verità nelle sue forme eternamente mutevoli, una verità che ci viene rivelata dai processi razionali».

Per Ratzinger l’educazione civica va condannata perché entrerebbe in contrasto con la “Retta ragione”.

Queste due concezioni opposte non possono che respingersi a vicenda: se la scuola ha come obiettivo quello di innestare negli studenti una capacità critica, questo proposito entrerà in un conflitto fisiologico con un’istituzione che ha dei dogmi inconfutabili per definizione alla base della propria dottrina.

Ovviamente è da condannare un’educazione civica in cui lo Stato impone una propria verità, ma sfogliando un qualsiasi libro di questa materia Ratzinger si accorgerebbe che non c’è niente di tutto questo, se non lo spunto di sane e belle discussioni su argomenti sempre attuali. Ma forse il Papa preferisce a un popolo adulto un ampio gregge di pecore, senza idee, senza pensieri, senza domande. Pronte a smarrirsi e a essere riportate a casa dal Pastore… Tedesco.

Questo è un paese per vecchi


di Riccardo Di Santo
E’ di qualche giorno fa la notizia che gli ultimi dati sulla disoccupazione giovanile italiana ad aprile 2010 hanno raggiunto ormai il critico tasso dello 29,5% per la fascia dai 15 ai 24 anni allora c’è poco da sorridere, anzi c’è da andare ad emigrare. Ma qual è l’origine di questi dati cosi preoccupanti? Naturalmente il quadro è estremamente vasto e variegato, tuttavia qui s’intende dare una visione diretta e senza scrupoli partendo da noi giovani anziché entrare in quella branca per me odiosa che è l’economia di professione. Partiamo da un fatto, noi per la maggioranza (mi riferisco a coloro che frequentano fruttuosamente l’università) difficilmente vorremmo un lavoro a ritmi fissi che ci possa togliere tempo ed energie per quello che è lo studio, al di là di quella che è la necessità di un lavoro part-time. Considerando che una laurea và dai 3 ai 5 anni di studio ciò vuol dire che un ragazzo è libero da questa fase intorno ai 24 anni, seguita poi a sua volta da una fase che può variare dalla specialistica (master) alla ricerca di un vero lavoro; qual è il lavoro che cerchiamo? Un lavoro coerente con quale sia stato il nostro percorso formativo, e cosi grazie ai dati Istat si scopre che ad avere maggiore fortuna nella ricerca di occupazione sono i laureati nella branche di: Ingegneria, Farmacia, Economia, che sono seguite a lunga distanza dai rami di Giurisprudenza, Filosofia, Lettere ecc. Aggiungiamo il fatto che vista la predilezione da parte delle imprese per i contratti a tempo determinato, molto spesso la gioia del trovare impiego difficilmente dura al di là di un periodo di 1/2 anni, dopodiché impieghi di fortuna (dal barista all’assicuratore) difficilmente permettono ad un giovane di lasciare la casa familiare o perfino di creare prima di una certa età una famiglia sua. Poi si stupiscono se il tasso di natalità è e rimane estremamente basso, chi ha tempo o soldi per mantenere i figli? Ammortizzatori sociali efficaci non se ne vedono, opportunità di formazione superiore neanche, visti i tagli a borse di studio e programmi di specialistica. Non parliamo poi di aprire impresa, difatti chi può assicurare un capitale ad un giovane precario senza garanzie in questi tempi di crisi Tante le domande, poche le risposte, in fondo che importa? E’ solo il nostro futuro.

Parole impresse nel ventre


di Matteo Napolitano
Sabato 15 gennaio 2011 alle ore 21,00 presso l’auditorium “M. Costa” di Sezze, situato in via Piagge Marine, andrà in scena il tributo a Fabrizio De Andrè “Parole impresse nel ventre”.
La manifestazione, dedicata al cantautore genovese scomparso l’undici gennaio del 1999, è ideata da Franco Abbenda, organizzata dal Circolo Culturale Setina Civitas e gode del patrocinio della Fondazione Fabrizio De Andrè e quello del Comune di Sezze. L’ingresso è libero fino all’esaurimento dei posti. Partecipiamo numerosi!

martedì 4 gennaio 2011

“La bellezza del somaro”: incontro con l’Altro Lacaniano


di Claudia Giannini
Non era un mistero che la coppia d’arte Mazzantini-Castellitto desse i suoi frutti migliori sul grande schermo. Il connubio d’amore e di professionalità si era rivelato geniale in “Non ti muovere” e oggi si riconferma vincente in “La bellezza del somaro”.
Il film, scritto da Margaret Mazzantini e diretto e interpretato da Castellitto, è nelle sale dal 17 dicembre. Un ventaglio di personaggi archetipici si interroga sulla vita, sul rapporto generazionale, sulla vecchiaia, sulla giovinezza e sui loro propri linguaggi. Bellissima l’ambientazione, studiati e caratterizzati fortemente i personaggi, quel tanto che basta per divenire simboli di uno stile di vita, di un’idea di vita, di un ruolo sociale.
In un’atmosfera realista e al contempo fiabesca, viene dipinto il quadro di una cultura moderna che, nel suo essere tale, non è priva di pregiudizio. Con un’ironia latente e raffinata, “La bellezza del somaro” mette a nudo i punti critici dei rapporti familiari e, più in generale, la difficile relazione con l’altro. L’Altro Lacaniano, che non a caso è citato nel film, inteso sia come individuo reale con cui scontrarsi, sia come Altro in senso lato, per definizione il Diverso, l’Altro da sé, tutto ciò che non rientra in noi, nella nostra cultura, nel nostro carattere, nelle nostre abitudini e personalità, nella nostra sfera personale.
Necessaria una lettura attenta per comprendere il senso del film, uno dei tanti che gli si possono attribuire, ricordando la lezione di Umberto Eco, e probabilmente consigliata più di una visione per leggere tra le righe. Per andare oltre la fotografia, i bravissimi attori, i dialoghi e la storia in sé e cogliere, grazie a tutti questi elementi, la riflessione profonda sul rapporto tra noi e gli altri, laddove i primi altri sono i nostri figli o i nostri genitori.
Dalla mia, la riflessione che sorge spontanea è: fino a che punto l’Altro è opposto a noi e fino a che punto invece l’altro è anche in noi stessi? Fino a che punto ciò che pensiamo esterno ed estraneo è realmente tale? Forse è possibile trovare un punto zero di coincidenza tra l’Io e l’Altro, il punto dello scontro, che può divenire dialettica costruttiva (e questo ben si evince dalle relazioni umane simbolicamente rappresentate nel film).
“La bellezza del somaro” forse è questo. È il somaro che sembra altro da noi, sembra fuori da noi, ma è anche in noi, fissamente presente, proprio come il somaro che domina la scena ed è onnipresente nel film.
Questa è solo una lettura, d’altra parte ogni arte si presta a molteplici interpretazioni. Per chiunque voglia riflettere su “La bellezza del somaro” , il film è proiettato al cinema Oxer e al Corso Multisala.

Megamind e la ricerca della Felicità®


di Andrea Passamonti
A volte i cartoni animati insegnano più di film premiati con innumerevoli Oscar. È il caso di Megamind, film prodotto dalla Dreamworks di Spielberg, uscito a metà Dicembre e apprezzato da pubblico e critica.
La trama sembra essere quella di sempre: il supereroe Metroman impegnato a difendere la città di Metrocity dal cattivo Megamind, solito antieroe iellato che nonostante i continui sforzi non riesce mai ad avere il sopravvento sul bene. La solita solfa, se non fosse che, quasi involontariamente, Megamind riesce finalmente a uccidere Metroman. Ed è qui che viene il bello, perché il cattivo senza il buono a contrastarlo non ha più uno scopo.
È come se Gatto Silvestro catturasse Titti, Cesare sconfiggesse il villaggio di Asterix, Tom incastrasse l’odiato Jerry.
Il tema non è nuovo ed è stato descritto e analizzato in contesti forse più alti del nostro Agronauta: spesso raggiungere lo scopo che ci si era prefissati lascia spazio a grandi delusioni e a una sensazione di sfasamento. Così non ci sarebbe da sorprendersi se una volta raggiunto Beep Beep, Willy E. Coyote guardasse lo spettatore con la stessa faccia inebetita di quando capisce che il suo nuovo marchingegno non sta avendo l’effetto desiderato: “E adesso che si fa?”.
In un libro molto divertente intitolato “Felicità®”, lo scrittore Will Ferrell analizza lo stesso problema, seppur in forma differente: questa volta non c’è un nemico o un buono contro cui battersi, ma il tema centrale è appunto la ricerca della felicità, perpetuata attraverso i manuali di autoaiuto. Manuali che, nella realtà, sono inesorabilmente destinati a fallire. Ma cosa succederebbe se uno di questi funzionasse davvero? Per Ferrell sarebbe la fine del mondo e della società come la conosciamo oggi, che, paradossalmente, si reggono sulla ricerca di una felicità irraggiungibile.
Ma se molto spesso raggiungere la meta comporta inaspettate delusioni, non per questo ci si deve adagiare in un infruttuoso pessimismo.
La meta è il pretesto per iniziare un viaggio. E nella vita è il viaggio che conta.

Paese che vai…presepe che trovi!


di Lucia Orlacchio
Il presepe, simbolo religioso più importante del Natale, è anche uno dei protagonisti principali delle celebrazioni natalizie a Latina, provincia e non solo.
Questa rappresentazione della nascita di Gesù che in molti tengono nelle loro case ha infatti alle spalle una tradizione antica, originatasi nel 1223 ad opera di San Francesco d’Assisi, che ogni anno artisti ed artigiani locali fanno rivivere: infatti in molti paesi della Provincia è possibile ammirare, sino al giorno dell’Epifania, pregevoli creazioni realizzate con i materiali più svariati ed originali.
Cosi, per esempio, nell’antico borgo medievale di Sermoneta viene a crearsi una suggestiva atmosfera in cui le diverse Natività rappresentate si plasmano sul contesto urbano; similmente il centro storico di Maenza risplende di una magica luce natalizia grazie all’esposizione dei presepi.
E’ dunque possibile considerare il presepe come una particolare forma d’arte che riesce a fondere in un unicum il sacro mistero della nascita di Gesù, alla profana descrizione di scene quotidiane di vita popolare attraverso personaggi comuni quali pastori, contadini, artigiani.
Negli ultimi anni inoltre l’originalità di quest’arte è esplosa, assumendo significati e finalità del tutto nuove: curiosando tra le opere presepiali di San Gregorio Armeno, strada napoletana celebre in tutto il mondo per le botteghe specializzate dei maestri artigiani, è facile scorgere statuette satiriche sui personaggi della realtà a noi contemporanea o addirittura veri e propri “presepi di immondizia” che denunciano la tragica emergenza-rifiuti in cui verte la capitale partenopea da ormai troppo tempo. In questo modo il presepe oggi diventa anche vero e proprio strumento di interpretazione della realtà contemporanea in chiave comico-farsesca.

Group 2011: frammenti creativi in ordine sparso

Dall’8 al 14 gennaio 2011 presso l’ex Garage Ruspi di Latina, situato presso largo Giovanni XXIII, si svolgerà l’evento “Group 2011: Frammenti creativi in ordine sparso di giovani pontini”.

La mostra, patrocinata dal consiglio dei giovani di Latina, mira alla rivalorizzazione dello spazio pubblico dell’ex Garage Ruspi, solo recentemente reso utilizzabile dal comune, e alla promozione della realtà artistica giovanile pontina.

L'evento combinerà l'esposizione di quadri, di fotografie e di sculture e la proiezione di diversi video. Inoltre si susseguiranno performance musicali. Partecipiamo numerosi!

The Heavenly Music Corp in concerto


Domenica 9 gennaio 2011 alle ore 22 presso il locale “56th Street”, situato in via Massaciuccoli 64/66 a Roma, si esibirà dal vivo il quartetto pop-acustico di Latina “The Heavenly Music corp.” formato da: Andrea Martella, Alessandro Cacciapuoti, Cristiana Moriconi e Matteo Napolitano.
In apertura alle ore 21.30 si esibirà “Matteo Napolitano solo”. Partecipare per credere.