martedì 30 novembre 2010

Questa inspiegabile lotta studentesca


di Martina Nasato
La Gelmini non capisce cosa c'entrino i pensionati con gli studenti. Perché mai il passato si dovrebbe preoccupare del futuro, se il presente è il primo a fregarsene? Chissà. E poi perché gli studenti si scagliano contro una riforma che è fatta “per il loro bene”, che permette una migliore distribuzione delle risorse e più possibilità per tutti? Sono strumentalizzati, è chiaro. Come fanno i giovani a non apprezzare una riforma che taglia i fondi all'istruzione pubblica e lascia intatti quelli destinati a scuole e università private? Come si fa a non capire che l'accesso di membri esterni nei consigli di facoltà (ovviamente mossi da motivi economici) creerà più mobilità e più efficienza? Chiaramente poi ogni corso di studi sarà asservito agli interessi delle aziende che riescono ad accaparrarsi l'ambita poltrona consiliare, ma che importa se, ad esempio, un aspirante farmacista viene indottrinato da una casa farmaceutica? Al diavolo la cultura libera, lunga vita al dio denaro. Finalmente ci sarà più meritocrazia, ma solo per chi potrà permettersela: le tasse universitarie si impenneranno progressivamente via via che gli atenei verranno convertiti in fondazioni. Ma è assolutamente per il nostro bene. Chi protesta fa gli interessi dei baroni dell'università, baroni che questo Governo vuole contrastare con ogni mezzo. Infatti, il mandato del rettore è stato limitato a una durata di sei anni. Peccato che nel corso del mandato gli vengano riconosciuti poteri pressoché assoluti, da esercitare assieme ai membri esterni da lui scelti per i consigli di amministrazione. Chi protesta è fomentato da “quelli dei centri sociali”, pericolosi dissidenti politici che non pendono dalle labbra della televisione. Chi protesta merita di essere menato: come osano avere opinioni proprie? I ragazzi dovrebbero apprezzare gli sforzi di chi da mesi cerca di sostituire i vecchi baroni con nuovi padroni.

Wikileaks, libertà di stampa o nuova forma di terrorismo?


di Andrea Passamonti
Qualche settimana fa la rivista americana Time, celebre per pubblicare ogni anno sulla copertina di dicembre l’immagine della “Persona dell’Anno”, lanciava un sondaggio su Internet per consultare i lettori sull’imminente scelta. Il sondaggio non è ovviamente vincolante per la rivista, ma la preferenza dei votanti è andata sul nome del fondatore di Wikileaks: Julian Assange.
Non ci è ancora dato sapere su chi ricadrà la vera scelta del Time, ma è certo che anche se non sarà l’ufficiale “Persona dell’Anno”, Assange sarà sicuramente quella dei prossimi mesi.
Wikileaks non ha nulla a che vedere con la Wikimedia Foundation (che gestisce i vari Wikipedia, Wikiquote, ecc), ma utilizza lo stesso prefisso “wiki” che nel linguaggio informatico indica un sito aperto alla condivisione di tutti gli utenti. Aggiungete “leak” (fuga [di notizie] in inglese) e capirete subito di cosa si tratta. Proprio seguendo questo principio il sito riceve in forma del tutto anonima documenti segreti o confidenziali di Governi o aziende private.
Il sito è online da quattro anni, ma ha già pubblicato importanti documenti: tra i temi più importanti già trattati da Wikileaks ci sono la guerra in Iraq, quella in Afghanistan, Guantanamo e altri ancora, fino ad arrivare alla pubblicazione dei documenti riservati del governo americano.
Dai documenti già pubblicati (una minima parte rispetto a quelli in possesso del sito) vengono fuori informazioni importanti.
Trascurando le pagelle che le varie ambasciate trasmettevano al Governo Americano – che tra l’altro evidenziano la bassa considerazione verso il nostro Presidente del Consiglio, relegato a portavoce di Putin in Europa – appare più importante soffermarsi sui documenti che escono direttamente dalla Segreteria di Stato di Washington. Questo perché se da un lato i giudizi edulcorati sui Leader mondiali non aggiungono nulla a quanto già si sapeva o intuiva, creando solo enorme imbarazzo tra diplomatici spesso costretti a fare buon viso a cattivo gioco, dall’altro si evince come gli Stati Uniti spiavano non solo Stati alleati e nemici, ma anche funzionari dell’Onu e persino il Segretario Generale Ban Ki-moon. Il tutto in palese contrasto con gli accordi internazionali.
Non è ancora il momento di emanare sentenze - è necessario aspettare prima l’intera pubblicazione e perché questa termini ci vorranno settimane se non mesi - ma i governanti dei paesi colpiti dall’uragano Wikileaks si sono già scagliati contro Assange e i suoi collaboratori accusandoli di far parte di una nuova forma di terrorismo. Commento esagerato? Si vedrà, ma ciò che è certo è che le relazioni diplomatiche e le operazioni di intelligence da oggi non saranno più le stesse. Le spie torneranno a consegnare i dispacci a mano, lontani da possibili hackeraggi? I diplomatici saranno più prudenti nello scrivere i documenti da inviare a Washington, sapendo che questi potranno essere letti da qualun altro? È presto per dirlo, come è presto accusare Assange di essere il diavolo o di lodarlo come se fosse un messia.
Sulla copertina del Time hanno trovato spazio Gandhi, Einstein e i Rivoluzionari Ungheresi, ma anche Hitler, Stalin e Putin.
Solo il tempo ci dirà da che parte inserire Wikileaks.

La Gente Nostrana


di Riccardo Di Santo
«Gloria(…) ai piatti pieni a tavola, la gente nostrana senza boria né buriana e via (…) a questa bocca di sole che mi toglie le parole» questo canta Zucchero nella sua ultima canzone “E’ un peccato morir”, ed è più che una singola strofa di una qualsiasi canzone se ascoltata nella giusta occasione. Tale mi si è presentata mercoledì sera sul treno regionale che da Termini, dopo una lunga ma interessante lezione di diritto Penale, mi riportava a Latina: il treno sovraffollato di studenti, lavoratori, famiglie italiane e non. In piedi, con l’ipod in tasca e le cuffie nelle orecchie per lasciarsi andare nella musica senza pensieri, mentre ascoltavo queste strofe mi guardavo intorno e penso di non aver mai potuto trovare scena più adatta: una signora benestante che leggeva una rivista di moda sorrideva alla bambina dagli occhi a mandorla che tentava di ricordarsi il congiuntivo mentre la madre tentava di aiutarla in un italiano maccheronico, una studentessa italiana di lettere che porgeva il dito giocando ad un bambino nero mentre il padre tentava di farlo stare buono in inglese, un venditore casertano di calzini ambulante che tentava di vendere un pacco di calzini a sei euro ad un altro commerciante pendolare che sorrideva empaticamente al goffo tentativo, ed altre scene di c.d. “terza classe”. Dov’era la magia mi chiedete? In un Italia com’è la nostra oggi non è cosi facile trovare sorrisi anziché sguardi sospettosi, mani che accarezzano bambini invece di ritrarle nella paura che siano sporchi di chissà quale schifezza, parole anziché offese ed epiteti razzisti: velo assicuro, era un sogno. Forse il nostro odio e diffidenza, sebbene talvolta giustificato da atteggiamenti completamente incivili da parte del nostro vicino, è solo il frutto di anni ed anni di terrore, omertà e maleducazione, mischiato ad un forte menefreghismo dello stato? Signori siamo noi lo stato, non le facce da pupari in tv, siamo noi e torneremo ad esserlo anche sostanzialmente: la torre di Pisa, il Colosseo e la Mole Antonelliana le abbiamo occupate perché nostre.

Giornata mondiale contro l’AIDS


Mercoledì 1 Dicembre è la giornata mondiale contro l’AIDS. Il reparto malattie infettive dell’ospedale Santa Maria Goretti sarà aperto dalle 8 alle 18 per effettuare test HIV gratuiti e counselling. Parteciapare è importante!

Più libri, più liberi


di Claudia Giannini
Mentre si lotta nelle piazze e su internet per salvare l’Università pubblica, a Roma torna un appuntamento da non perdere. Riapre i battenti dal 4 all’8 Dicembre, la Fiera nazionale della piccola e media editoria “Più libri, più liberi”. La location sarà il Palazzo dei Congressi dell’Eur. Un’occasione per immergersi nei variopinti mondi degli Editori minori, dove spesso si riescono a soddisfare curiosità e gusti particolari. La piccola editoria vive di specialità e rarità che in una società commerciale e massificata come la nostra non possono che far bene. Tanti gli incontri in programma, divisi per temi e percorsi letterari. Per info www.piulibripiuliberi.it Buona passeggiata letteraria a tutti!

martedì 23 novembre 2010

Storie di nuovi emigranti


di Martina Nasato
«E partiva l'emigrante, e portava le provviste e due o tre pacchi di riviste». Era il 1978 quando Rino Gaetano omaggiava in musica una figura, quella dell'emigrante italiano, per cui abbandonare la propria terra è sempre, in ogni epoca, una scelta dolorosa. Anche solo cambiare regione, spostandosi all'interno del territorio nazionale, si traduce in una separazione difficile: abbandonare il proprio dialetto per incontrarne di nuovi e sconosciuti, con musicalità diverse; allontanarsi dalla rete sociale, più o meno fitta, in cui si era inseriti sin dall'infanzia; incontrare nuovi climi, nuove luci e nuovi odori; lasciare le proprie radici. L'emigrante italiano si sposta per scelta o per necessità, abbandona la propria terra, madre e matrigna, la quale gli ha dato la vita ma non di che vivere. E se un tempo a spostarsi in cerca di fortuna erano gli ultimi, i più poveri, quelli che in fondo non avevano nulla da perdere, oggi ad andarsene (soprattutto all'estero) sono giovani brillanti e preparati, poliglotti, il più delle volte laureati, che nel loro Paese non riescono a raccogliere frutti adeguati se commisurati alle loro fatiche. L'Agronauta ne ha intervistati due. O.P. ha 30 anni: napoletano d'origine, cresciuto a Roma, oggi vive a Madrid dove lavora come reporter per la tv spagnola. Laureato in Scienze della Comunicazione, conosce la Spagna nel 2003 grazie a un Erasmus a Salamanca. Nel 2008 la svolta: O.P. decide di partire per Madrid, senza che lì ci fossero un lavoro o degli amici ad attenderlo. Come un emigrante di altri tempi, sfida la sorte armato solo del suo bagaglio, culturale e non. Quella che doveva essere un'avventura temporanea si prolunga ormai da due anni e mezzo: «A volte è dura non potersi esprimere nella propria lingua, soprattutto se si fa il giornalista. La famiglia è lontana e col passare degli anni è difficile vedere i genitori invecchiare da lontano. Per il resto a Madrid non manca nulla: il cibo italiano lo si trova o lo si trasporta nel trolley ogni volta che si passa per Roma; per la poca tv che vale la pena vedere, c'è internet.» Riguardo un eventuale rientro in patria, poi, aggiunge: «Attualmente non tornerei in Italia perché non avrei le possibilità che offre un Paese più meritocratico come la Spagna. Quando ci si abitua al rispetto della legalità e della cosa pubblica è dura tornare alla giungla italiana. Insomma, a medio termine non credo tornerò in Italia.».
I.D., invece, è un ragazzo romano, di anni ne ha 33, e da 2 vive a Ginevra, dove lavora presso il CERN. È laureato in Ingegneria Elettronica e in passato ha vissuto anche in California e in Germania. Anche per lui i primi tempi nei nuovi Paesi, lontano da casa e dagli affetti, alle prese con una nuova lingua, sono stati duri. Tuttavia: «La nostalgia è qualcosa con la quale prima o poi impari a convivere. L'Italia, per me, è il paese più bello del mondo.» Poi aggiunge, citando Pavese: «Un paese vuol dire non essere mai soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.» Però in Italia, I.D. riusciva ad ottenere solo contratti trimestrali. Gli chiediamo se, oggi come oggi, tornerebbe a casa: «Nonostante io provi a negarlo, so che lo vorrei. O forse vorrei non essere mai partito, in maniera tale da vivere quei luoghi con gli stessi occhi di prima. Sono certo che un giorno tornerò in Italia, sperando di trovare posti di lavoro dove si viene considerati per quello che si vale, dove venga data fiducia anche ai giovani, dove vengano offerti contratti lavorativi di almeno quattro o cinque anni, e dove vengano corrisposti stipendi che permettano di vivere con dignità. Se qualche volta sono critico con il mio Paese è solo perché ne sono innamorato veramente, e mi piange il cuore vederlo afflitto da tanti limiti che potrebbero essere abbattuti solamente con un po' di buona volontà ed impegno comune.»
Le storie di O.P. e di I.D. sono simili a quelle di migliaia di frammenti di Italia sparsi per il mondo: legati alla loro terra da un ricordo nostalgico, scelgono, però, ogni giorno il loro futuro, fatto prima di tutto di dignità. Una cosa che mamma Italia sembra non essere più in grado di offrire. Purtroppo.

Latina, si risveglia?


di Lucia Orlacchio
Per la prima volta in Italia, lo scorso 12 Novembre, sono stati i musei a protestare: chiudendo le porte per un giorno, si sono mobilitati contro i tagli del governo per attirare i riflettori sull’arte, sul suo valore, fondamento della nostra cultura. Gli eventi recenti, quali il crollo della Domus dei Gladiatori di Pompei, ci mostrano infatti come il patrimonio culturale italiano sia abbandonato nelle mani incompetenti di chi ci governa, rischiando quotidianamente il crollo sotto il peso dell’ignoranza e dell’incuria piuttosto che dei fenomeni naturali (tempo, acqua, terremoti,…)ai quali troppo spesso è facile attribuire ogni responsabilità. In questo clima di amara tristezza e delusione, l’incerto risveglio di Latina dal suo torpore culturale ci da nuove speranze: il 10 ed il 19 Dicembre infatti il Procoio di Borgo Sabotino sarà temporaneamente riaperto alle visite, in orari stabiliti, grazie all’iniziativa dell’ Associazione Culturale “I Triangoli”. Nelle due giornate sarà possibile visitare il museo allestito dentro la struttura del Procoio, esempio d’architettura protoindustriale ottocentesca costruita dal Duca Onorato Caetani per la lavorazione del latte di bufala, tipica produzione locale. Intercorre dunque uno stretto legame tra il territorio pontino e il museo che di esso è testimonianza mostrandone una ricostruzione economica- sociale dall’età preistorica a quella tardo romana e medievale. Il Procoio rappresenta da sempre uno dei centri della vita sociale degli abitanti del Borgo, ricchezza per coloro che vi abitano ed allo stesso tempo per i turisti che potrebbero apprezzarne struttura e contenuto, se solo fosse aperto: paradossalmente infatti, questo bene locale è chiuso dal 2009, data del pensionamento del suo custode. Mi auguro che l’iniziativa dei ragazzi dei Triangoli, all’impegno dei quali noi dell’Agronauta ci sentiamo vicini, sia un segnale del risveglio della nostra città che da troppo tempo ormai sembra inconsapevole delle sue potenzialità e ricchezze inesplorate.

Parcheggio multipiano di Latina Scalo: c’è ma non si usa

di Claudia Giannini
Ricordo un manifesto elettorale di qualche mese fa, in cui un fiero e impettito Moscardelli associava la sua immagine all’opera rivoluzionaria del parcheggio multipiano di Latina Scalo. Ricordo che risi e pensai “Che coraggio”, visto che ogni mattina e ancora oggi il bel parcheggio multipiano della Stazione è abbandonato a se stesso. Anzi peggio, sembra pronto e utilizzabile, ma in realtà non lo è.
In una conferenza del marzo scorso, lo stesso Moscardelli ci teneva a sottolineare come la sua partecipazione al progetto si limitasse all’idea. Quanto all’attuazione e ai ritardi nella realizzazione, la colpa era tutta degli accordi tra Comune di Latina e ditta Urbania (vi ricorda qualcosa?!) che si era aggiudicata la gara d’appalto e il milione di euro stanziato dalla Regione Lazio. Volendo lasciare sullo sfondo la campagna di Moscardelli, quanto meno controproducente per la sua immagine, ciò che resta dopo mesi di attesa sono le transenne che delimitano la zona del nuovo parcheggio.
Da un lato un ritardo clamoroso nella consegna dell’opera, dall’altro ulteriore spazio tolto al parcheggio pubblico della stazione. Un grande risultato direi, davvero astuto. E in tutto ciò i posti auto scarseggiano, tanto che nelle ore di punta si trovano automobili parcheggiate nei campi o sui marciapiedi.
Anche se volessi capire, e comunque non capisco, l’idea di un parcheggio a pagamento, resta assolutamente vergognoso che dopo quasi tre anni dall’inizio dei lavori la situazione sia ancora immobilizzata. Qualche operaio vaga intento negli aggiustamenti “finali”, cartelli di divieto di sosta tutto intorno alla zona delimitata (per lavori in corso, mi sembra chiaro) e nel frattempo automobili ovunque, quasi le une sulle altre.
Ad aggravare la situazione ci sono i trasporti pubblici. A parte la linea FS principale che transita frequentemente sulla circonvallazione, le altre sono assolutamente insufficienti. Basti pensare alla Linea FS-Q4/Q5 che effettua solo quattro o cinque corse in tutta l’arco della giornata.
E andiamo avanti così. Soldi pubblici investiti a caso e progetti lasciati nell’abbandono più totale. E per favore, Moscardelli, se ci tieni così tanto alla tua immagine, almeno risparmiaci di lodarti per un lavoro lasciato a metà. Dal di fuori le responsabilità non sono scritte. Dal di fuori si vede solo la mancata funzionalità del parcheggio e un’opera finita ma abbandonata. Magari, se hai tempo, informati un po’ del perché.

Parla con Lui

Il 25 Novembre del 1960 Minerva, Patria e Teresa Mirabal, le tre sorelle dominicane promotrici del movimento democratico opposto al regime del loro paese, furono fatte torturare e poi uccidere dal dittatore Trujillo.
Dal 1999 la data della morte delle sorelle Mirabal è diventata la “Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne” e proprio in occasione di questa ricorrenza l’associazione FIDAPA sezione di Sabaudia ha organizzato un incontro pubblico dal titolo “Parla con Lui”. L’iniziativa avrà luogo proprio il 25 Novembre alle ore 17 presso il Teatro delle Fiamme Gialle (Via Giulio Cesare).

martedì 16 novembre 2010

Se la musica non cambia…


di Alessandro Lanzi
Sabato 6 novembre, io e altri amici de “L’Agronauta”, Matteo, Stefano e Andrea siamo stati al concerto di Guccini, che si è tenuto al PalaLottomatica. L’attesa per l’inizio è stata piuttosto breve e ho avuto modo di constatare nel frattempo, con stupore, la presenza di numerosissimi giovani. Verso le nove e trenta, le luci si sono spente e il “maestrone”, come di consueto con camicia rossa accesa, è salito sul palco, senza che questo spezzasse quel clima amichevole, pacifico, quasi casareccio, che si respirava nell’aria, oltre il fumo e l’odore del vino caduto qua e là a qualche spettatore.
Era la prima volta che vedevo Guccini dal vivo ed immediatamente sono stato colpito, oltre che dalla mole, dal suo modo di condurre il concerto, caratterizzato dal costante contatto col pubblico, dal dialogo intriso di politica, satira e osservazioni sul nostro Paese.
Dalle sue parole emerge ancora la voglia di denunciare, di unire per lottare, perché lui in quella locomotiva “lanciata a bomba contro l’ingiustizia” ancora ci crede; certo poi bisogna fare i conti con gli altri passeggeri, che siamo noi, i giovani di oggi.
Quindi, sembrava quasi di stare ad ascoltare un amico che, seduto in casa tua, ti suona una canzone famosa di qualcun altro e si ferma, di tanto in tanto, a discutere.
Il concerto è durato circa tre ore, ma negli ultimi quaranta minuti c’è stato lo sfoggio delle delizie: “Canzone di notte n.2”, “Eskimo”, “Farewell”, “Cirano” e l’immancabile “Locomotiva”.
Alla fine della performance eravamo ancora tutti carichi di entusiasmo e forse anche un po’ d’amarezza. Dico d’amarezza perché nasce spontanea la considerazione che quelle canzoni poetiche, di critica sociale, di lotta, provengono dalla storia di un cantautore e di giovani di un’altra generazione, che in quei testi si è riconosciuta, e sono per noi solo un’eredità.
La vera amarezza nasce quando si pensa alla nostra generazione, anoressica culturalmente, autrice e vittima della televisione, che loda quelli che Guccini in Cirano definisce “poeti sgangherati, inutili cantanti di giorni sciagurati…”, ed è quindi, a mio parere, incapace di porre le basi per costruire la sua identità, necessaria per il futuro, perlomeno per un futuro migliore dalle note che caratterizzano la nostra attuale società.
Per identità intendo i valori comuni che saranno posti alla base di una futura società rinnovata, in cui, utopisticamente, si spera non vi sia spazio per la corruzione, l’ingiustizia, l’emarginazione, la povertà e soprattutto le mai scomparse differenze di classe.
Reality show vari, televisione, pseudo-moda, apparenza, paraletteratura, musica che non è musica, sono spazzatura oggi e saranno spazzatura domani, ma è in questo purtroppo che si riconosce questa generazione e questa sarà l’eredità che lasciamo noi a chi verrà, perdendo quella locomotiva, che nella vita di ognuno di noi passa una volta soltanto, se la musica non cambia.

Il peso della libertà


di Matteo Napolitano
E’ vero “la libertà comprende il diritto di avere torto”, come recitava un passo del romanzo di McGivern “La donna rubata”, e Aung San Suu Kyi ne aveva uno grande, enorme: quello di aver parlato di democrazia, di anti-militarismo, di pace.
Dopo aver trascorso gli ultimi vent’anni confinata, sabato Suu Kyi è tornata ad essere libera, è tornata ad essere donna e leader, il volto combattivo dell’LND (Lega Nazionale per la Democrazia) che con il suo fiore giallo tra i capelli, il simbolo della dissidenza in Birmania, è divenuta emblema universale di lotta pacifica contro i regimi totalitari e militari.
L’attività del partito di cui detiene la leadership è però purtroppo fortemente contrastata nella neonata repubblica di Myanmar, lo dimostra il fatto che vige una fittizia legge elettorale la quale prevede che i partiti registrati non possano avere esponenti con precedenti penali, chiaramente questa specificazione va a “tagliare fuori” ogni tentativo di contrasto dell’LND e i risultati elettorali, se così possono essere denominati in quanto semi-plebiscitari, dimostrano la forza degli “ufficiali” e dell’ “Unione della solidarietà e dello sviluppo” che, nella tornata elettorale del 7 novembre, hanno “conquistato” circa l’ottanta per cento dei 1159 seggi delle tre camere.
Persino Roberto Baggio è stato etichettato come “personaggio scomodo” ed inserito nella lista nera del regime di Naypyidaw, non a caso il “divin codino” dopo aver ricevuto il “Peace Summit Award 2010”, prestigioso premio consegnato dai nobel per la pace a Hiroshima, ha lanciato un messaggio ad Aung San Suu Kyi esortandola a continuare nel suo audace cammino di autodeterminazione; c’è da dire anche che forse la giunta, tifosa della squadra della capitale, teme l’acquisto di Baggio da parte del temerario e inossidabile Real Mandalay, squadra fortemente “offensiva” che con l’inserimento del campione italiano potrebbe insidiare il dominio della capolista.
Il peso della libertà, tornando seri, consiste nel fatto di doversi confrontare con la realtà, con i macigni degli odierni concetti di democrazia e rappresentazione distorti dall’ottica autoritaria e dall’occhio vigile di coloro che detengono il potere e di coloro che ne aspirano.

Che te magni!


di Pierpaolo Capezzera
«Di cultura non si vive, vado alla buvette a farmi un panino alla cultura, e comincio dalla Divina Commedia.». È questo ciò che sostiene il presunto, probabile, prossimo primo mini-stro italiano, l’On. Giulio Tremonti (in linea, dunque, con il suo precedessore), in un momento in cui l’istruzione nel nostro Paese vive uno dei momenti più bui della sua storia. Lungi dall’essere una rivendicazione futurista di rinnovamento culturale, queste parole vanno ad offendere e ferire sempre più la carcassa popolare, oltre che nel portafogli, ora anche sotto il cappello. Perché, infatti, pensare al sapere, quando l’italiano medio trova ormai difficile arrivare alla terza settimana? Perché perder tempo tra cellulosa, vinili e pellicole, invece di pensare a come riempire lo stomaco? Questo sembra chieder(si) il caro Tremonti. Ma la domanda, a mio parere, è tutt’altro che retorica, e pretende dunque una risposta: la cultura non è un mezzo di sostentamento diretto (e anche questo è, tuttavia, un concetto molto discutibile), ma è ciò che ci permette di vivere in modo più consapevole le avversità, quindi anche un periodo di crisi come questo. Bisognerebbe forse anche ricordare che la sua tanto amata economia, senza fior fior di studiosi, filosofi, politici e, più in generale, intellettuali, sarebbe rimasta saldamente ancorata al suo senso originario (“oikonomia” in greco vuol dire amministrazione delle cose domestiche), e dunque un mero badare ai propri affari, rendendo impossibile un sistema ampliato come quello statale. E se, dunque, non è esatto che la cultura non sfama, è vero il contrario: senza cultura non si può vivere: “Gli uomini colti sono superiori agli uomini incolti nella stessa misura in cui i vivi sono superiori ai morti.” (Aristotele). Ma purtroppo questo discorso è, nel concreto, ben diverso: il regime ha paura della cultura, perché essa rende coscienti, trasforma la massa in popolo, consapevole di ciò che lo circonda. “Solo l’uomo colto è libero”, sosteneva Epitteto. E suppongo che la libertà sia più importante della farcitura di un panino.

“DOUBLE HUBBLE” , DOPPIA CELEBRAZIONE AL GRASSI


Sabato 20 novembre cade l’anniversario della nascita di Edwin Hubble, astronomo celebre per l’interpretazione del redshift delle galassie come loro reciproco allontanamento, scoperta fondamentale per l’affermazione dell’attuale modello di Universo in espansione. Il 2010 è anche il ventennale della messa in orbita del telescopio Hubble, progetto nato dalla cooperazione tra l’agenzia spaziale europea ESA e quella statunitense NASA. Per celebrare questa doppia ricorrenza, il Liceo Scientifico G. B. Grassi di Latina e il suo Planetario saranno aperti al pubblico dalle 18:00 alle 23:00 per offrire interventi di altissima qualità. Alessandro Gigante, in rappresentanza dell’ESA, tratterà dell'aspetto scientifico-tecnologico; la prof.ssa Maria Letizia Parisi esplorerà la dimensione filosofica della vicenda scientifica; il lato artistico sarà invece affidato alle opere di due rinomati artisti pontini: Tommaso Andreocci e Massimo Pompeo. Gli interludi musicali saranno curati dal duo Maurizio Pizzorusso e Remigio Coco. L'evento è coordinato dal professor Bonacci, responsabile del Planetario.

martedì 9 novembre 2010

Guccini tra musica e poesia


di Stefano Pietrosanti
Al netto di tutte le piacevolezze non musicali, dello stare in un luogo pieno di persone che bene o male la pensano come la pensi tu, dell’ascoltare una persona da cui sprizzano chiari e tondi valori che dovrebbero essere condivisi da tutti i cittadini (tra cui l’adesione al senso di quella che, con termine magari arrugginito, potrebbe essere definita “storia patria”), parliamo della musica che è stata suonata sabato sera al Palalottomatica, ossia della musica di Guccini. Lo facciamo compiendo una riduzione, ossia parlando del ruolo poetico del cantautore di Pavana.
E’ cosa abbastanza evidente che in Italia i cantautori, da dopo la morte di Montale, abbiano definitivamente soppiantato il ruolo dei poeti “puri”, ossia quello di persone che mettono in versi un sentire, che lo condividono con un vasto pubblico e che fanno tutto questo tramite un metro e tramite la ritmicità della parola. Seguendo questa linea di ragionamento, mi sembra evidente come Guccini si possa inserire nel solco della poesia tipicamente italiana: artigianale, contadina, “storica” in quanto profondamente legata al fiume carsico dei sentimenti come possono scorrere solo in pomeriggi caldi, deserti, assolati, tra campi e piccole città, trasportando con la loro massa personale e privata, frammenti e brandelli del fatti che segnano il tempo di tutti. E’ interessante come l’autore forse più associato all’idea di sinistra militante e un po’ barricadiera, sia inseribile nel novero di quella che si potrebbe chiamare “grande arte conservatrice”, quel cammino di singoli pensatori che hanno avuto i nomi di Pascoli, Carducci, Borges, Montale, tutti – con le loro evidenti discordanze – dediti al cesello della parola per far riflettere in questa il distillato etereo dell’umanità. Dico “conservatrice” affatto in senso politico, ma in senso più semplice e profondo, diciamo morale. Quell’arte che con grande umiltà si limita a descrivere, e che per farlo evita qualsiasi rumore eccessivo, evita l’urlo se questo può infrangere il materiale narrato, quell’arte che per profondo amore di ciò che narra lo ricopre del velo sottile appena necessario – né più né meno, nei casi migliori – per contenere la rivelazione di un qualsiasi momento vissuto e catturare in questo l’insieme di movimenti d’animo che il momento ha suscitato, trasferendo questi movimenti a noi. Co-muovendoci. Perché “Lettera”, terza canzone suonata, questo è, come quel “Melograno” di Carducci così deturpato dalle letture scolastiche. L’eccezionalità della coscienza che davanti a un evento terribile, come la scomparsa di qualcuno di caro, pur capace di gettarsi nei baratri immaginari eppure tremendi che la mente apre non lo fa, si ferma e compone una canto misurato al sentimento di una perdita che è – per l’uomo – anche il sentimento del mondo. Un canto che riconosce al limite il ruolo fondamentale di salvaguardia della vita cosciente, pure e proprio quando il limite si rivolge contro di noi.

La e-Biblioteca di Babele


di Andrea Passamonti
Nel racconto fantastico “La biblioteca di Babele” Jorge Luis Borges immagina una biblioteca capace di contenere tutto il sapere universale: le sue gallerie esagonali contengono in libri di quattrocentodieci pagine (“ciascuna pagina, di quaranta righe; ciascuna riga, di quaranta lettere di colore nero”) tutte le possibili combinazioni di 25 caratteri. Una biblioteca capace di contenere “tutto ciò ch’è dato di esprimere, in tutte le lingue”.
L’esperimento mentale è affascinante e si presta ad analisi di diverso tipo, da quella matematica (Qual è il numero di libri contenuti nella biblioteca?) fino a quella filosofica (Può un numero finito di libri descrivere tutto il sapere universale?), ma la breve analisi di questo articolo vuole essere semplicemente biblioteconomica.
Nell’anno dei tagli alla cultura, le biblioteche italiane cercano di implementare la propria offerta e lo fanno sfruttando le nuove tecnologie. Così alcune biblioteche del Nord stanno sperimentando il prestito degli e-book, i libri in formato digitale che si stanno sviluppando grazie ai nuovi e-reader (iPad e Kindle per intenderci). In Italia siamo ancora indietro rispetto a Stati Uniti e Inghilterra, soprattutto nella catalogazione digitale, e non è un caso se nei paesi in cui i libri sono disponibili in entrambi i formati il sorpasso del digitale sul cartaceo sia già avvenuto quest’estate, come testimoniano i dati di Amazon (la più importante libreria online al mondo).
Come andrà a finire? Non c’è dubbio che i libri elettronici occuperanno sempre più spazio nel panorama editoriale italiano e questo comporterà anche una rivoluzione tra gli scaffali delle biblioteche. Nonostante questo i libri non devo sparire e non spariranno. E non solo per il piacere di leggere toccandone la carta, ma anche (e soprattutto) per la bellezza della ricerca: trovare un libro digitale e scaricarlo su Internet richiede qualche secondo e nessuna fatica; cercare un libro introvabile nelle biblioteche di tutto il mondo resta qualcosa di irraggiungibile che arricchisce la semplice lettura. Ecco perché il lettore del terzo millennio avrà a portata di mano un sapere più grande, ma non deve rinunciare ad avventurarsi nella Biblioteca di Babele.

L’Opinione Altrui


di Riccardo Di Santo
Navigando sull’ormai comune sito YouTube, tra un video divertente e un altro che fa riflettere, mi sono imbattuto in diversi video aventi tutti lo stesso comune oggetto di fondo: Berlusconi e le sue cafonate di fama mondiale nonché la supposta ironia sul popolo che da ben 15 anni lo vota senza indugio capo del suo governo. Ora il difetto dell’ insicurezza è da sempre presente nelle nostre vite di Italiani, cioè quello che ci porta a chiederci “che cosa pensano di noi gli stranieri (di un certo tipo sia ben chiaro)?”. Beh, punto primo ciò non ci dovrebbe minimante interessare se non nel limitato ambito della riflessione su un possibile miglioramento; punto secondo se proprio li volessimo stare a sentire le notizie non sarebbero delle migliori. Il mondo ci ride in faccia per avere un Presidente del Consiglio dei Ministri che è un maleducato, volgare e più volte perseguito (e sempre scampato per i motivi più distanti dall’innocenza) dai magistrati per accuse di vari crimini e illeciti: perché lui sarà anche cosi alla veneranda età di settantaquattro, ma siamo noi popolo ad averlo messo dove siede, incantati dal verbo di questo Masaniello all’ombra della Madunina. Quindi niente scuse. Spagnoli e Francesi cavalcano l’onda dell’immondizia e dei luoghi comuni social-criminali su di noi per annebbiare l’immagine dell’Italia e fare propaganda turistica ed economica («noi andiamo male ma tanto c’è chi sta peggio», e via battute). I media Anglofoni mantengono quell’atteggiamento di Grand Tour con noi, caratterizzato dalla bellezza dei luoghi e dalla selvatichezza della popolazione autoctona. I tedeschi, e vi prego basta con questa storia che ancora pensano al 2006, hanno lo stesso rispetto di noi di quello che si porta al simpatico maggiordomo di casa un po’ pazzerello. Volete la colpa di questa immagine retrograda e pessima? Guardatevi allo specchio e per una dannata volta invece di giustificare ogni cosa con “lo fanno tutti”. Pensate a fare tutti il vostro dovere.
P.s. Ieri è crollata la c.d. “Casa dei Gladiatori” a Pompei, vecchia di quasi 2000 anni: che c’erano infiltrazioni d’acqua tutti lo sapevano ma come al solito nessuno ha fatto nulla, dal Ministro al Responsabile dell’area archeologica: complimenti davvero!

Gente e colori di Latina


Nell’anno della lotta alla povertà e all’emarginazione sociale, con la finalità di creare rapporti di buon vicinato e favorire l’integrazione intergenerazionale l’associazione TempoAmico , il Consiglio Comunale dei Giovani di Latina, il centro socio-culturale anziani e i servizi sociali del comune di Latina promuovono il concorso di fotografia: ”Gente e colori di Latina”. Il concorso è aperto a tutti i cittadini della provincia senza limiti di età e la mostra delle opere sarà allestita presso il teatro D’Annunzio e il museo Cambellotti dall’11 al 17 Dicembre.
Per maggiori informazioni visitate il sito tempoamico.volontariato.lazio.it

martedì 2 novembre 2010

Napoli, Sirena grande e rumorosa


di Diletta Di Paola
È proprio dal canto mitico di una Sirena che nacque il primo nucleo di Napoli ed è da lei che prese inizialmente il nome di Parthenope.
La leggenda amata dai partenopei narra della delusione amorosa di questa donna-uccello che, non essendo riuscita ad ammaliare con il suo canto Ulisse di ritorno da Troia , decise di gettarsi nelle acque di quello che poi sarebbe diventato il Golfo di Napoli.
Si insinua nell’immaginario collettivo il canto di Parthenope e forse proprio dalla sua gloriosa leggenda nasce l’animo partenopeo della festa, del canto, ma anche della sofferenza.
Questa costante malinconica e “battagliera” si riscontra ovunque e sempre a partire dalla maschera di Pulcinella.
Naso adunco come quello di un gallo, sembra infatti abbia tratto origine da un personaggio proposto da Orazio nelle sue Satire: Cicirrus, il cui nome significherebbe appunto Galletto. La grandiosità e genialità di questa maschera sta nel farsi metafora e portavoce dell’anima del popolo napoletano.
Ai napoletani piace cantare con Pulcinella e del resto a Napoli la vita ha sempre fatto rima con la canzone.
La prima ad esser cantata in dialetto è “Jesce Sole” che risale al 1200 della quale, però, non si conosce l’autore.
Come scrive Luca Torre nel libro “Canzoni classiche napoletane”: “La canzone napoletana è certamente la più cantata al mondo, anche se proporzionalmente al numero di esecuzioni, la più povera di diritti d’autore”.
Certo, perché essendo motivo popolare passa di bocca in bocca “Perciò chi nasce din’t a ‘sta città passa cantanno tutt’ ’a giuventù (…). E basta sulamente ‘nu mandulino (…) ‘nu core ardente ca, ride o chiagne, vò sempre cantà!”. Così le parole di “Comme se canta a Napule”, canzone scritta nel 1911 da E. A. Mario (Nome d’arte di Giovanni Ermete Gaeta).
Se si pensa anche solo al caffè viene in mente un ritornello che fa : “Ah, che bellu cafè, sulo a Napule 'o sanno fa'…”
Nel Quattrocento nascono i primi generi musicali: la farsa, la frottola, la tammurriata… Ecco che ad affiancarli compaiono i primi strumenti: il putipù, il tammuriello, le castagnelle e ovviamente il famoso mandolino con cui ogni italiano (noiosamente) all’estero viene accostato alla pizza e a qualcos’altro che (tristemente) fa parte della sua cultura.
Dalla musica popolare genuina, si passa a quella “accademica”, dotta e volendo colta.
Nascono a Napoli intorno al XVI secolo i primi conservatori originariamente adibiti ad orfanotrofi che avevano come compito quello di “conservare” ed educare gli orfani di strada alla musica. Quattro erano quelli fondamentali che poi nel 1806 si unificarono in un’unica struttura, il Conservatorio di S.Pietro a Majella. Ed è stupendo bere un bollente caffè nelle vie adiacenti ad esso e sentire voci e suoni provenienti dalle sue aule. Sono gelosi e si vantano delle loro canzoni, i napoletani!
Recentemente è nato un nuovo genere musicale, quello “neomelodico” di cui fa parte (solo per fare un esempio) Gigi D’Alessio. A quanto pare ogni rione ha un proprio idolo.
La forza di questo effettivo fenomeno culturale sta nella enorme risonanza che ha in termini di successo mediatico locale.
Un’altra importante esponente della musica contemporanea napoletana è senza dubbio Teresa De Sio. Napoletana doc, cresciuta tra la musicalità del dialetto e le storie di Napoli, sostiene che
“il folk è il rock del popolo. Con il folk si impara a rispettare gli uomini e le donne del nostro mondo, a riconoscerne il passato e grazie a quello guardare al futuro”. Questo uno stralcio di una sua intervista.
Ed è così che bisognerebbe continuare a cantare e a pensare la musica.
E così deve continuare a cantare la bella Sirena dei soli scottanti del cantare vitale e genuino.

“L’Aquilone” continua a volare


di Lucia Orlacchio
“L’opera umana più bella è di essere utile al prossimo” afferma Sofocle, uno dei più grandi tragediografi e poeti greci.
Nella vita quotidiana l’uomo è sempre alla frenetica ricerca di qualcosa nel tentativo, spesso vano, di affermarsi come qualcuno che in realtà non è. Cosi spesso ci si ritrova ad inseguire il sogno di realizzare opere di chissà quale grandezza senza renderci conto che il vero valore è nelle cose più semplici: ridere e far sorridere, un gelato, una passeggiata in compagnia di un amico. Sono questi i gesti che stanno alla base dell’impegno quotidiano dell’ Associazione locale di volontariato “L’ Aquilone”. Ormai da quasi 18 anni attiva sul territorio pontino, “L’Aquilone” raccoglie attorno a se giovani mossi dal comune bisogno di “essere utili al prossimo”: ogni volontario infatti trascorre settimanalmente una piccola parte del proprio tempo in compagnia di bambini, adolescenti e giovani interessati da patologie come autismo, sindrome di down, lesioni celebrali, sordità. La vita dell’ Aquilone ruota dunque intorno all’obiettivo di far trascorrere momenti di svago e di divertimento ai fruitori del servizio, divenendo al contempo vero e proprio punto di riferimento per essi e per le loro famiglie. Le attività dell’Associazione però non si limitano a questo: oltre a sostenere l’AIL nella raccolta fondi attraverso la vendita delle uova di Pasqua e delle stelle di Natale, i volontari da qualche anno si occupano anche dell’accoglienza disabili e dei giovani artisti in occasione del Festival Internazionale del Circo - Città di Latina. Emerge cosi l’importanza dell’aspetto relazionale nella vita dell’ Aquilone: un’ associazione di volontari, riuniti nel clima informale di amicizia tra giovani di diverse età che condividono le loro esperienze.
Per ulteriori informazioni puoi contattare “L’Aquilone” su Facebook o chiamando al numero 3466081593.

Un Presidente del Consiglio da vergogna


di Claudia Giannini
Cosa serve ancora? Per scatenare l’indignazione e la vergogna non basta neanche questo? Tra nepotismo, sessismo, bugie e gossip nazionale, quante altre Ruby, D’Addario, Noemi serviranno? La nostra più alta figura governativa dopo il Presidente Napolitano è un uomo che si barcamena tra festini notturni in luoghi istituzionali, telefonate salva-finte-parenti di Capi di Stato e, nel mezzo, qualche rassicurazione ai ribelli campani, sommersi dai rifiuti.
Il problema, tuttavia, non è questo. Questo è solo un aspetto. L’aspetto di un Paese malato, lo stesso Paese che fino alla scorsa settimana passava le giornate a domandarsi come sarebbe finita la mini-fiction sulla povera Sarah. È un Paese che non si ribella, che anzi appoggia un’etica della corruzione, del favoritismo, del “io ti do il posto, tu che mi dai”. E quanto è difficile, ogni mattina, svegliarsi e affrontare una giornata di lavoro, di studio, con questi presupposti, con questa sfiducia nella propria Nazione.
È finito il tempo del Patriottismo, ed è meglio così. Ma non c’è più interesse nemmeno nel salvaguardare, un minimo, l’immagine di noi Italiani nel mondo. Si, perché il nostro Presidente del Consiglio dovrebbe essere il nostro primo rappresentante. E, scusate, ma non mi sento rappresentata nemmeno un po’ quando se ne va in giro per il mondo a snocciolare barzellette al limite dell’offensivo.
Beh, il peggio è che dovremo arrenderci, tutti noi giovani che crediamo nel lavoro, nello studio, nei sacrifici, nel rispetto del proprio corpo e della propria persona. Dovremo arrenderci al sistema, o rinunciare ed emigrare. E questo, sia ben chiaro, non per colpa del nostro Signor B. Ma per colpa di un Paese che si è già arreso e non s’indigna più, non si ribella, per quante Ruby, D’Addario, Noemi possano scoprirsi domani.

Francesco Guccini in concerto


Sabato 6 novembre ’10 alle ore 21.00 presso il Palalottomatica di Roma si svolgerà il tanto atteso concerto del cantautore italiano Francesco Guccini.

Il concerto si inserisce nell’ambito di un tour italiano che ha toccato e toccherà teatri e palazzetti di tutta la penisola, alcune novità caratterizzeranno le date autunnali dell’artista modenese soprattutto per quel che riguarda la scaletta, che subirà infatti importanti modifiche riportando in auge pezzi che da tanto mancano sul palco di Guccini.

Se anche a voi piace “far canzoni, bere vino e fare un gran casino” cercate gli ultimi biglietti disponibili e godetevi il calore e lo spettacolo che questo grande artista della tradizione italiana sa dare.