martedì 26 gennaio 2010

Amsterdam, biciclette e gelo


di Riccardo Di Santo
La prima cosa che mi ha colpito di Amsterdam è stata la neve: agli occhi di un Latinense vedere tutta quella coltre bianca stesa sulla città fa un certo effetto, inutile negarlo. Appena uscito dalla stazione, dopo un lungo viaggio da Parigi con un ritardo di 2 ore (ma avevano il ghiaccio e le cattive condizioni meteorologiche come giustificazione loro!), devo dire che il mio spirito d’osservazione non era al top della forma cosicché invece di fermarmi ad osservare le bellezza della città in quella atmosfera mi sono ritrovato a guardare incredulo gli Olandesi che nel bel mezzo di una nevicata, a -5 gradi, andavano tranquillamente a spasso per la città con la loro fida bicicletta. Stanco ed infreddolito non ho voluto indagare oltre, ma gettarmi su un bel letto caldo e rimandare il tutto alla mattina dopo. Da qualsiasi degna storia natalizia mi dovevo aspettare la magia che puntualmente è arrivata non appena sono uscito dall’Hotel: il servizio di spazzaneve aveva ripulito tutto e adesso si notava chiaramente lo smisurato reticolo delle piste ciclabili con fondo creato apposta per sopportare la neve e il gelo, popolato da centinaia di biciclette che transitavano. L’ammirazione che ho provato per il loro senso dell’ambiente e lo stupore nel vedere cosi poche macchine non hanno minimamente scalfito la mia idea che non era fattibile gelarsi cosi solo per muoversi al rischio di prendersi un colpo. Poi ho capito, sono salito su un tram olandese e mi si è aperto un mondo che neanche a Roma avevo trovato: la pulizia, la possibilità di comprare il biglietto a bordo non maggiorato, il controllo dello stesso effettuato dal conducente senza ritardi evitando cosi contemporaneamente i “portoghesi”, la possibilità di portare sopra la bicicletta (si, sono innamorati delle due ruote), la frequenza ogni dieci minuti per tram con la stessa destinazione e i cartelli con tutte le informazioni per raggiungere musei e negozi mi hanno fatto un po’ vergognare all’idea del caro vecchio “G/” di casa. Cosi ho capito che la maggior parte di coloro che utilizzavano la bicicletta erano persone che venivano a lavorare da fuori città o dalla periferia e la utilizzavano solamente per i piccoli spostamenti invece di venire in centro con la costosa macchina, affrontare i disagi di strade ghiacciate e costosi ticket per il parcheggio. Bisogna ammettere che sono furbi gli Olandesi. Adesso naturalmente il paragone non è fattibile con Latina, in fin dei conti Amsterdam è sempre una capitale turistica che necessità di tale mobilità, ma ciò non deve essere una giustificazione per il rimanere nella mediocrità della piccola città di provincia italiana. Sono talmente tanti i miglioramenti da farsi che sarebbe impossibile elencarli in un solo articolo, ma a dirne un paio ci si può provare: Quanto costa sostituire i vecchi autobus di linea con navette a basse emissioni (metano o perfino elettriche)? Quanto costa aumentare la frequenza del passaggio delle stesse linee invece di vederne passare due che effettuano lo stesso percorso nel giro di dieci minuti e poi più nulla per un’ ora? Che ci vuole a capire che il piano criminale delle strisce a pagamento offre una grande opportunità per i trasporti pubblici? Non sarebbe un’ idea fare un abbonamento integrato sia per i trasporti di Latina che per quelli della Capitale con un minimo sovrapprezzo? Oppure linee scolastiche che colleghino i quartieri dormitorio con le principali scuole superiori e medie (con controlli di sicurezza)? Le domande sono tante, le risposte poche ma le attenderemo, intanto non ci rimane che intossicarci e spendere euro di benzina nel traffico di Via del Lido o in quello di Via Epitaffio tentando di andare a scuola o al lavoro.

“Rifiuto” civico


di Matteo Napolitano
La raccolta differenziata dovrebbe rappresentare un concreto monito per il rispetto dell’ambiente e un incentivo al riciclaggio dei materiali riutilizzabili.
Anche il comune di Latina, ormai già da qualche tempo, ha deciso di seguire la via della differenziazione, infatti sono stati istituiti dei punti di raccolta dove una volta a settimana portare i propri rifiuti accuratamente riposti nei vari sacchetti colorati e distinti per tipo e materiale.
Fin qui niente di nuovo. Il problema però inizia a farsi pesante nel momento in cui i termini apposti dal Comune non vengono rispettati. Ad esempio, nel punto di raccolta di via Persicara il passaggio degli operatori ecologici è previsto per il giovedì, ma fa specie vedere che già il venerdì sul ciglio della strada sono adagiate buste e vettovaglie di ogni genere.
L’ammasso, giustamente, nel corso della settimana si fa sempre più consistente (considerando che le buste più corpose, cioè carta e plastica, non hanno appositi contenitori) tanto che si riesce a stento a passare sul marciapiede.La colpa di questi avvenimenti non è di certo imputabile al Comune bensì al senso civico dei cittadini e dei residenti che dimostrano ancora una volta di non aver cura né degli spazi abitativi, né tantomeno dell’ecologia, dell’ambiente e dei regolamenti comunali. In sintesi, un “rifiuto” nei confronti della civiltà e del quieto vivere.

martedì 19 gennaio 2010

Il socialismo italiano tra mistificazione e apologia


di Martina Nasato
Sfogliare un giornale, guardare la TV in questi giorni significa, inevitabilmente, sentir parlare di lui. Oggi è il decimo anniversario della sua morte, avvenuta ad Hammamet, in Tunisia, dopo sei anni di latitanza, o, come preferiscono dire alcuni, di “rifugio politico”. Anche se parlare di rifugio politico per qualcuno che ha maturato una condanna pari a 24 anni e un mese di reclusione, è un po' come parlare di rifugio politico in Sud America per i gerarchi nazisti o, in giro per il mondo, per i mafiosi.
Si leggono mistificazioni storiche senza pudore, una per tutte pubblicata giovedì 7 Gennaio da un quotidiano locale, nella quale si accostava la figura di Craxi a quella di Garibaldi. Un paragone da far girare nella tomba l'eroe del Risorgimento, da far ghiacciare il sangue a qualsiasi italiano a cui sia rimasto un briciolo di sano senso patriottico. La “condanna a morte ignominiosa” alla quale fu condannato Garibaldi, citata dall'autore del suddetto articolo, non era certo frutto di indagini da parte della magistratura odierna, non nasceva da uno scandalo come quello che fu Tangentopoli. Garibaldi fu condannato perché, dopo il fallimento dell'insurrezione mazziniana in Piemonte, nel 1834, egli non fece ritorno a bordo della nave della Marina Sabauda sulla quale era arruolato. La sua latitanza venne interpretata come un'ammissione di colpa e fu avviato un processo in contumacia, dove lui, essendo assente, non poté difendersi. Per quanto riguarda, poi, i meriti politici riconosciuti ai due personaggi dalla Storia, il confronto per il segretario del PSI si fa ancora più impietoso: francamente, mi risulta difficile erigere un monumento alle intenzioni. Craxi aveva sicuramente ideali largamente condivisibili, il problema sta nei mezzi con cui questi ideali venivano perseguiti. “È il sistema che era marcio”, ho sentito dire. Ebbene, Craxi su quel sistema marcio costruiva la sua linea politica, salvo poi gridare in Parlamento “Basta con l'ipocrisia!”: tutti i partiti politici vengono finanziati. Quindi, tutti assolti? Mal comune mezzo gaudio? Non funziona così, e Bettino lo sapeva bene, tant'è che se ne è andato in Tunisia. L'articolo dei paragoni improbabili prosegue, fra mistificazione e apologia, citando anche l'anarchico Gaetano Bresci, che nel 1900 sparò al re Umberto I uccidendolo: il giornalista si chiede se è giusto che Carrara gli abbia dedicato un monumento e Prato una strada. Semplicemente, è diverso. Sottolineando il fatto che Bresci è stato, giustamente, processato per le sue colpe: è stato condannato a morte e ha pagato il regicidio con la vita. E per rispondere a chi ha dato voce all'autore di quell'articolo, Giuseppe Saragat finiva i suoi discorsi con “viva l'Italia, viva il socialismo”, ora l'Italia la vogliono corrotta e il socialismo se lo sono comprato dei faccendieri.

La Politica di Craxi merita un'analisi più attenta


di Andrea Passamonti
A dieci anni dalla scomparsa di Bettino Craxi si sta infiammando un acceso dibattito sulla riabilitazione del leader socialista, dibattito che nelle scorse settimane ha animato anche questo giornale.
Dieci anni, quando si parla di personaggi politici di così grande importanza rischiano di non essere sufficienti. Così è facile non distinguere affatto tra due ambiti molto importanti e che nel caso di Craxi hanno inciso fortemente sul suo giudizio: politica e giustizia.
Dico questo perché dall’analisi che viene fatta sugli anni di Craxi è sempre emerso il lato giudiziario, le inchieste di Tangentopoli, e mai (o quasi) quello politico.
Non è un caso dunque che la prima e per alcuni più importante disputa riguardi il termine con cui definire la permanenza di Craxi ad Hammamet, divisione che da un lato vede i difensori che la considerano un esilio e dall’altro gli accusatori che propendono per la latitanza.
La verità in questo caso credo sia nel mezzo e si esplica nella definizione di rifugiato che compare nella Convenzione di Ginevra come colui che “temendo a ragione di essere perseguitato per motivi di […] appartenenza ad un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, si trova fuori del Paese di cui è cittadino e non può o non vuole, a causa di questo timore, avvalersi della protezione di questo Paese”, ovviamente con il benestare di uno Stato amico come la Tunisia. Se fosse stato un esiliato o un latitante non si spiegherebbe, rispettivamente, il perché non tornasse una volta richiamato e il perché nessuno avesse ottenuto l’estradizione.
Ma fermarsi qui senza un’analisi attenta di colpe e meriti di Craxi non avrebbe senso.
Il Psi e Craxi furono protagonisti indiscussi di quegli anni: in politica estera, economia, proposte di riforme istituzionali, diritti civili.
Ma forse la riforma più importante era stata quella di capire prima di altri la trasformazione della società: la critica al marxismo-leninismo e la riscoperta di Proudhon sulle colonne dell’Espresso erano l’inizio di un processo di trasformazione che avrebbe “tagliato la barba a Marx” e capito l’ascesa di una nuova classe di lavoratori.
Se oggi questo ci sembra scontato non si pensi che lo era allora, data la frequenza con cui a sinistra si perseverava con l’esaltazione del proletariato.
La politica estera di quegli anni ci ha reso un paese meno servo degli americani (Sigonella) e più lontano dai sovietici (euromissili), attento alle questioni mediorientali (Arafat e Olp) e libero da quelle religiose (revisione del Concordato).
In economia ci sono stati meriti, come il successo contro l’inflazione attraverso il taglio della scala mobile, e demeriti, la mancata attenzione riguardo un debito pubblico che continuava il suo trend ascendente e il conseguente mancato risanamento (entrambi gli aspetti sono evidenziati su Il Sole 24 ore di domenica).
Ci sarebbe da aggiungere altro, ma lo spazio è scarso e tangentopoli incombe.
Tutto il sistema politico della prima repubblica si reggeva sul finanziamento illecito.
Si finanziavano illecitamente socialisti, democristiani e comunisti. Prova ne è la mancata risposta alla questione sollevata da Craxi nel suo discorso alla camera del 1992: nessuno poteva dirsi estraneo all’apparato di cui faceva parte.Nonostante questo non mancarono forze politiche che colsero l’occasione per atteggiarsi a paladine della legalità, fomentando l’azione della magistratura e creando, insieme al mondo dei media, un’atmosfera di sciacallaggio per cui si diventava colpevoli al primo avviso di garanzia.
La politica che si fa giustizia.
La colpa più grande, di Craxi come di altri, fu forse quella di non denunciare un sistema in cui ricevere sostegni e contributi illeciti era prassi comune.
La colpa più grande della politica, di oggi come di allora, è quella di non saper guardare la realtà delle cose con distacco.
Oggi, a dieci anni dalla morte, la figura del Segretario socialista torna sulle prime pagine dei giornali. Tra riabilitazioni sentite e assoluzioni funzionali il ricordo migliore di Craxi può arrivare solo da chi, senza ipocrisie, ha saputo raccontare la sua politica come una storia.
Una storia socialista.

martedì 12 gennaio 2010

Un Consiglio inutile

di Claudia Giannini
Da qualche anno vanno tanto di moda quei tricicli colorati per i bambini, che prendono dimestichezza con i pedali mentre il papà o la mamma li spingono con un lungo manico.
È questa l’immagine migliore che mi viene in mente per descrivere quella bella trovata che è stata il Consiglio dei giovani di Latina. Di certo grandiosa dal punto di vista pubblicitario per chi l’ha promossa ed entusiasmante per i ragazzi che hanno accettato la sfida, eppure il tempo sta dimostrando la scarsa utilità di questa iniziativa.
I primi sintomi di insofferenza li stanno mostrando gli stessi componenti del consiglio giovanile. Si sentono inascoltati, rei d’essersi illusi che sarebbe andata diversamente.
Fin dalla sua promozione infatti, il Consiglio era progettato semplicemente come organo consultivo, senza alcun potere decisionale. Certo non sorprende, visto che “i grandi signori di palazzo” non avrebbero mai permesso di essere surclassati da un gruppo di ragazzi.
Eppure, per quanto mi riguarda, i problemi che si stanno verificando sono solo la dimostrazione della futilità di un organo del genere. Infatti, gli stessi giovani accettando entusiasti l’idea di riunirsi in consiglio, non hanno fatto altro che auto-esiliarsi, auto-censurarsi. Con un astuto movimento pubblicitario, gli assessori promotori del progetto hanno semplicemente e definitivamente chiuso le porte della politica, quella vera, ai giovani.
Li hanno fatti sedere al loro posto, hanno dato loro i microfoni e la giusta formalità. Il tutto per farli giocare tra loro alla maggioranza e all’opposizione, sempre rigorosamente senza disturbare i giochi politici, quelli dei ‘grandi’. Proprio come il papà che fa credere al bimbo di stare guidando la sua bicicletta, quando invece è lui a dare la direzione.
Insomma, una voce, quella dei giovani, che è stata messa a tacere, paradossalmente, nel momento stesso in cui è nato il consiglio, in un doppio movimento, di esclusione-accerchiamento, sotto le vesti dell’esaltazione.
Al contrario, la voce dei giovani può essere ascoltata solo mischiandosi, confrontandosi, scontrandosi con quella di tutti gli altri, che sono loro pari, solo con qualche anno in più.La mia speranza è che i giovani che hanno voglia di vivere la politica da dentro, nei partiti e confrontandosi realmente alla pari con gli adulti (categoria peraltro relativa), continuino a farlo, senza cedere alla tentazione di un posto ‘prestigioso’ in Consiglio a far finta di decidere, senza peraltro decidere nulla.

Rosarno: magistra ignorantia


di Matteo Napolitano
“La cacciata” non è un film di Sergio Leone purtroppo, bensì il nome che meglio si addice all’episodio che ha visto come protagonisti gli extracomunitari residenti a Rosarno, piccolo paese sito in Calabria. In questi giorni l’attenzione di tutti i media è puntata sui procedimenti di questa “cacciata” ad opera dei cittadini del ridente paesino calabrese, che armati di buona lena e soprattutto di fucili, sassi e bastoni, stanno compiendo un vero e proprio esercizio di rastrellamento e odio razziale, una vera e propria “caccia al negro”.
Malmenati, insultati, denigrati come le più misere delle bestie, messi a vivere nei loro stessi escrementi in casolari senza finestre, né tetti, né gabinetti, questo è il destino che hanno deciso di assegnare loro, le mani e in particolar modo le menti di persone che non esito a chiamare “ignoranti”.
Un ignorante è scortese, privo di educazione, di cultura, di valori, sono offese lo so, ma mi sento di dire che sono dovute in pieno; in questa situazione c’è assoluta mancanza di senso civico, di senso dell’altro, di senso del rispetto di valori fondamentali, sanciti non solo moralmente ma anche costituzionalmente e riconosciuti a livello internazionale.
Chi si sta ribellando agli extracomunitari sono i cittadini di Rosarno, città schiava della N’Drangheta, spesso sui giornali per ragioni legate a regolamenti di conti, abusi amministrativi e quant’altro ruota attorno alla malavita. Chi si sta ribellando è a sua volta schiavo di una mentalità rimasta indissolubilmente indietro, è schiavo di processi limitativi della persona e del suo essere nel mondo, è schiavo della propria terra e delle proprie radici.
Il solo fatto di affermare e constatare questi avvenimenti dovrebbe darci un freno e farci progredire, la sola cosa che invece, purtroppo, vediamo crescere, è la violenza fisica e psicologica con cui ogni giorno, irrimediabilmente, affrontiamo una società votata al multietnico, all’integrazione e soprattutto all’accettazione, almeno da qualche parte, sicuramente non a Rosarno.

martedì 5 gennaio 2010

Hitler “era l'allenatore di una squadra di calcio tedesca”


di Martina Nasato
In Inghilterra un bambino su 20 pensa che Hitler sia stato l'allenatore di una squadra tedesca di calcio. Il 6% degli stessi studenti pensa anche che l'Olocausto sia stata una celebrazione della fine della II guerra mondiale e il 15% crede che Auschwitz sia un parco a tema. È quanto tristemente emerge da un'indagine condotta, mediante un questionario a risposta multipla, da un'associazione di veterani di guerra, su un campione di 2000 studenti di età compresa fra i 9 e i 15 anni.
La maggior parte dei giovani sudditi di sua maestà dimostra una conoscenza di base circa le due guerre mondiali, ma una minoranza tutt'altro che esigua rivela profonda ignoranza. E così, alla domanda “Chi era Adolf Hitler?” il 77% degli studenti ha risposto correttamente “il leader del partito nazista”, il 13,5% ha ritenuto che egli fosse colui che “ha scoperto la forza di gravità nel 1650” e il 7% ha creduto si trattasse dell'“allenatore di una squadra di calcio tedesca”.
Allo stesso modo, solo il 61% dei giovani inglesi sa che Goebbels fu uno dei più importanti gerarchi nazisti: il 21% lo ha confuso con Anna Frank (!) e il 14% gli attribuisce il ruolo di Segretario della Difesa britannico durante la seconda guerra mondiale. A creare la maggior confusione, comunque, è stata la bomba atomica: solo il 41% degli studenti britannici sa che il primo ordigno nucleare fu lanciato dagli Stati Uniti, mentre il 31% ha risposto “Giappone” e il 19% “Germania”.
Inutile sottolineare lo choc derivante dalla lettura dei risultati: “e questo sarebbe il futuro della nazione?”, verrebbe da chiedersi. Per un ragazzo che si affaccia al futuro è essenziale poter trarre insegnamento dal passato, ma questi studenti non sono evidentemente in grado di farlo.
L'associazione che ha proposto il questionario ha evidenziato l'urgenza di colmare le lacune così grossolane dei giovani inglesi.A noi resta da chiederci se, davanti ad un simile questionario, gli studenti italiani farebbero una figura migliore dei colleghi d'oltremanica...