martedì 29 dicembre 2009

La rivincita del vecchio Scrooge


di Andrea Passamonti
Nonostante la recessione globale gli italiani si sono riversati (e continuano a riversarsi) nei centri commerciali alla ricerca dell’indispensabile regalo di Natale.
Lasciamo ad altri l’analisi sul regalo perfetto, ma proprio perché siamo in tempo di crisi può essere divertente andare ad analizzare la festa e il suo conseguente scambio di regali da qualche altro punto di vista.
È quello che ha fatto il Professor Joel Waldfogel che, nel 1993, pubblicò sull’American Economic Review un interessante articolo intitolato “The deadweight loss of Christmas” (La perdita netta di Natale), ripreso oggi dal libro Scroogeconomics, omaggio evidente all’avido Ebenezer Scrooge di Dickens.
Il professore, tralasciando le considerazioni macroeconomiche (trasformandoci in animali da consumo non facciamo altro che bene al nostro PIL), si sofferma su un analisi microeconomica del problema.
La tesi di Waldfogel è semplice: dato che non possiamo conoscere esattamente le preferenze delle persone alle quali facciamo regali, è molto probabile che riguardo a un bene ci sia una differenza tra il prezzo pagato dal donatore e il valore che attribuisce al bene chi il regalo lo riceve. Questa differenza di attribuzione di valore è la nostra perdita netta di Natale. In poche parole se Tizio regala a Caio una camicia da 80 Euro, ma Caio per quella stessa camicia non avrebbe speso più di 30 Euro, siamo nel caso di una distruzione di valore.
Moltiplicate per i regali natalizi che vengono scambiati negli Stati Uniti e otterrete una perdita di valore che secondo Waldfogel si aggirerebbe tra i 4 e i 13 miliardi di dollari.
L’articolo meriterebbe più approfondite considerazioni, ma visto il poco spazio e la riluttanza di molti verso l’argomento è bene soffermarsi sul messaggio che questo articolo può riservarci.
È meglio evitare l’ormai tradizionale regalo a sorpresa e sostituirlo con la busta del nonno?
Non credo. Più utile sarebbe aggirare il problema in un altro modo: fare regali solo alle persone che si conoscono bene. Non a caso secondo la ricerca del Professore i regali degli amici sono molto più efficienti di quelli di zii e zie.

Non resta che un ultimo augurio: buone feste (e regali) a tutti!

Kaela, figlia del mare


di Claudia Giannini
Kaela era figlia del mare. Era nata tra le onde, ma non aveva visto la luce, perché era nata nel buio. Quel buio nero che crea il mare quando s’abbraccia al cielo. Aliya la partorì in silenzio, con un pezzo di stoffa tra i denti, per non disturbare gli altri cento che pregavano. Pregavano per la prima vittima di quel viaggio di speranza, abbandonata dolcemente tra le onde perché non c’era posto per i morti su quella barca. E proprio su quel gommone tra due terre la morte lasciava il posto alla vita, in un angolo di mondo senza tempo, dove il passato s’univa al futuro.
Se l’era tirata su dalle cosce Aliya, e l’aveva avvolta in un coperta di lana spessa, che prima era servita a proteggere la pancia e ora a proteggere Kaela, ancora viola di prima vita.
Erano partiti in tanti dalla Somalia, Aliya s’era fatta un fagotto e aveva ricercato il coraggio in fondo a sé. L’aveva aiutata Sadiiq. Vai tu, io arriverò. Vai a partorire in paradiso, io ti raggiungerò. Ed era partita. Era partita per lei, per il suo uomo, ma soprattutto per la figlia che aveva in grembo.
I primi dolori erano arrivati nella lunga strada dalla Somalia all’Egitto e poi alla Libia e il sentore di un parto improvviso s’era insinuato dentro di lei, ma ormai era troppo tardi per rinunciare ad imbarcarsi. A Tripoli li aspettavano gli scafisti. I soldi ce li aveva nascosti nel petto, risparmi di una vita spesi per la vita.
S’erano imbarcati di notte ed erano tanti, troppi in quei gommoni così stretti. Le ragazze che aveva conosciuto Aliya non le rivide mai più, s’imbarcarono diversamente.
Sapeva che ci sarebbe voluto tanto, almeno venti giorni e venti notti a tenersi saldamente pregando la clemenza del mare. E sapeva che avrebbe conosciuto la morte, le si sarebbe presentata nei visi spenti di chi non sarebbe sopravvissuto.
Dopo il primo, di morti abbandonati ne erano seguiti altri. E altri ancora. Ma a ogni braccio che Aliya vedeva scivolare nell’acqua, cercava di concentrare la sua attenzione sugli occhi di sua figlia. Erano celesti, vivi, anche se la sofferenza s’era già insinuata in quel corpicino troppo debole. Di latte ne aveva Aliya e doveva lottare con le forze che l’abbandonavano giorno dopo giorno.
L’acqua era finita il diciannovesimo giorno e s’era portata dietro le speranze. L’unica fonte di energia era il canto. Un canto sibilato, dolce, che sussurrava cullando la sua piccina, avvolta nel poco calore che riusciva a trasmetterle. C’erano momenti in cui la sua vista si annebbiava e doveva lottare per mantenere conoscenza. Era il pianto di Kaela a tenerla viva, perché finchè c’era pianto, c’era vita.
Non capì quando gli altri cominciarono a gridare. E neanche quando la sollevarono dalla barca cercando di rassicurarla. Probabilmente capì di avercela fatta solo quando si svegliò in un letto caldo accanto a un’incubatrice in cui dormiva dolcemente Kaela, con un pugno piccolo piccolo appoggiato accanto al volto. Furono i colori a farla sentire bene. Fu il contrasto tra lo scuro cioccolato della pelle della sua bambina e il bianco candido dei lenzuoli che l’avvolgevano.
In quel contrasto c’era la vita. E quel bianco era semplicemente un nuovo inizio.
Non aveva paura Aliya, l’aveva sprecata tutta su quel gommone. Ora le rimaneva la tranquillità, la consapevolezza che tutto doveva necessariamente andare meglio. Perché il difficile doveva essere passato.
Pensò a Sadiiq, a quando l’avrebbe raggiunta. Era certa che lui ce l’avrebbe fatta a sopportare quel viaggio, perché l’amava troppo per abbandonarla.
È sugli occhi di Kaela che si chiude questa storia. Su quegli occhi inconsapevoli e celesti, su una bambina che crescerà guardando il mondo e credendolo l’unico possibile, senza ombra di ciò che di diverso invece esiste. E si chiude sulle labbra carnose di Aliya, nel momento in cui si schiudono in un sorriso, per il solo fatto di aver cambiato il mondo di sua figlia, di averle regalato un universo migliore in cui vivere e averla salvata dal dolore che invece aveva segnato lei.È così che si chiude questa storia. Su due occhi di bambina che osservano con curiosità il proprio papà, dopo cinque anni di attesa. E con le labbra carnose di Aliya che toccano quelle di suo marito, dopo cinque anni di attesa.

martedì 22 dicembre 2009

Ma non era meglio un bel mercatino?


di Claudia Giannini
Negli ultimi tempi la piazza di Latina è stata al centro dell’attenzione per la questione piano sosta, ma come se non bastasse, ora è stata trasformata in un mini centro commerciale di plastica bianca.
Un tendone col tetto spiovente, un cartello tutto rosso su cui campeggia la scritta “Idee per il Natale” e canzoncine natalizie in sottofondo. Basta poco per fare Natale, viene da pensare. E invece basta poco per uccidere una piazza, penso io.
Ma non ci stava meglio un bel mercatino? Di quelli con le calze della Befana e le caramelle, lo zucchero filato e le caldarroste. E pensare che la tensostruttura ha anche tolto spazio al consueto Mercatino dell’Antiquariato che si svolge ogni prima domenica del mese, confinato tutto intorno, come a fare da contorno al piatto forte.
Forse il Comune ha pensato bene di ripopolare la piazza facendone un centro commerciale, magari per fare contenti quei pochi negozianti fortunati che si sono accaparrati uno stand all’interno. A ben vedere però, passeggiando nella “grande serra”, la maggior parte degli spazi è occupata da negozi che già hanno sede nei principali centri commerciali della città.
Tra l’altro non sembra chiaro il metodo con cui gli stand sono stati destinati, né sono reperibili via internet informazioni in proposito.
Per non parlare dell’aspetto estetico, che si sa, ultimamente in Comune è un po’ trascurato. Basta gettare un occhio tra le colonne dell’Intendenza di Finanza, dove si erge un bel fascio di ferro con infilzata una freccia, struttura donata alla città e per questo legittimata a comparire dove proprio non c’entra.
E poi, non si era qualificato il centro di Latina come ‘centro storico’? Proprio su questa base è stato costruito il nuovo piano sosta. Forse ora non lo è più, ora che c’è bisogno di montare una serra in Piazza del Popolo. Ma attenzione, dentro non ci sono pomodori o fragoline, solo ‘Idee per il Natale’.



Il Babbo Silvio entra nelle case degli italiani. Non dal camino, come tradizione vorrebbe, ma direttamente dal computer attraverso un messaggio di auguri ai lettori de Il Giornale.
Ma Babbo Silvio, al contrario del collega vestito di rosso (quindi possibile comunista) fa di più e ai lettori del quotidiano di famiglia “consiglia” il regalo da fare: la tessera del Pdl.
Avete letto bene. Lasciate perdere le Stelle di Natale. Basta con i soliti libri. Al bando le Pigotte dell’Unicef.
A Natale regalatevi e regalate la tessera del Pdl. E già che ci siete, adottate il Silvio-Pigotta.

Il freddo paralizza i treni, ma anche il governo


di Andrea Passamonti
Il freddo di questi giorni sembra aver messo ko il nostro Paese e tutte l’Europa. Strade, treni, arerei, autobus cittadini, scuole e molti altri servizi hanno dovuto arrendersi al maltempo, senza poter opporre nessun tipo di resistenza. Ma tutto questo poteva essere evitato oppure è un problema irrisolvibile al quale tutti dobbiamo soggiacere?
La risposta sembra essere differente a seconda del Paese in cui ci si trovi.
Se per quanto riguarda il trasporto aereo la situazione sembra essere omogenea, le diverse reazioni ai disagi del trasporto ferroviario fanno pensare che i problemi hanno diversa natura, diversa gestione e soprattutto diversa reazione.
La diversa natura deriva dalla qualità dei treni: riscaldamenti che non funzionano, porte semi aperte e finestrini bloccati non danno problemi nel periodo estivo, ma in casi di temperature in picchiata diventano cause di sedili ghiacciati e porte che non si aprono all’ingresso in stazione.
La diversa gestione del problema riguarda un po’ tutte le società di gestione del trasporto ferroviario, in particolare per quanto riguarda le informazioni su ritardi e cancellazioni ai passeggeri.
Ed è su questo binario che la gestione del problema ci porta direttamente alle diverse reazioni. Se questa mancanza di comunicazione sembra straordinaria in Europa (con un particolare caso per il tunnel della Manica), questa è all’ordine del giorno in Italia. Nessuno si scandalizza più di tanto se ci sono dieci, venti, trenta minuti o più di ritardo senza che qualcuno avverta in tempi leciti il passeggero infreddolito.
Ma la diversa reazione dei governi da indicazioni più precise su come questi problemi vengono metabolizzati dalla popolazione. Per il Ministro dei Trasporti francese Dominique de Bussereau “E’ inaccettabile che il collegamento tra Inghilterra e Francia non funziona perché fuori sta nevicando. Inoltre - prosegue il Ministro – il governo chiederà spiegazioni, farà degli accertamenti e chiederà che vangano prese delle misure in modo che tutto questo non accada più”. Gli fa eco anche il Ministro dell’Ecologia Borloo che convocherà i vertici delle società che gestiscono il servizio perché “non puoi trattare le persone in questo modo, lasciandole senza informazioni”.
Questi i Ministri francesi.Matteoli? Ci sei?

giovedì 17 dicembre 2009

Cose di casa nostra


di Matteo Napolitano

“Ha senso consacrare la propria vita per un Paese come l’Italia?” “Certo che ce l’ha” “E se fosse una battaglia persa?” “Le battaglie in cui si crede non sono mai perse”. Rispondeva così Antonino Caponnetto, il fondatore del pool antimafia a Palermo. Se fosse ancora vivo, lui che non è una vittima delle cosche, e con lui ci fossero ancora Falcone, Borsellino, Impastato, Don Diana e tutte le vittime di mafia gli chiederei ancora “Ma ad oggi vale davvero la pena sacrificarsi per l’Italia?”
Non so se la risposta sarebbe la stessa, immagino di sì, ma l’entusiasmo di certo non risponderebbe allo stesso che c’era in quei giorni caldi e oltremodo significativi dei primi anni ’90. In questi giorni ed in quelli poco precedenti, tutte le testate giornalistiche sono e sono state occupate da titoli riguardanti la corruzione della politica da parte della mafia, argomento non nuovo, ma a quanto pare nemmeno superato, anzi, in continua ribalta. Se pensiamo al caso MOF di Fondi e alla scandalosa conferma del consiglio comunale, alle dichiarazioni del pentito Spatuzza, alle accuse contro Dell’Utri, Berlusconi e Mangano, alle rivelazioni del figlio di Ciancimino, il cui padre fu sindaco di Palermo e compagno di merende di Marcincus e Provenzano, e ai nuovi risvolti dei casi di movimenti di Procure e dell’archivio Genchi, ci rendiamo conto che gli avvenimenti legati alla malavita organizzata sono, nel nostro Paese e nella nostra provincia, sempre all’ordine del giorno.
Ciò che davvero dovremmo domandarci è, cosa facciamo tutti, me compreso, per far sì che questi argomenti non siano più all’ordine del giorno? La domanda può sembrare alquanto banale e portare a risposte futili quali “E vabé che dobbiamo fare?” o meglio “ E vabé cosa possiamo fare?” Possiamo iniziare innanzitutto a collaborare affinché la memoria non venga a sgretolarsi intitolando vie, luoghi, piazze, centri importanti di aggregazione e così via a coloro che per la mafia hanno lasciato tutto e per mano della mafia sono stati uccisi; possiamo chiedere di rendere pubblica la lista dei beni che sono stati confiscati alla criminalità organizzata nel nostro territorio, beni che fruttavano più di 80 milioni di euro, e riutilizzare tali beni per realizzare strutture adeguate alla vita sociale, politica e cittadina, senza il bisogno di rimetterli in vendita e quindi rimetterli in mani mafiose; possiamo chiedere servizi di maggiore sensibilizzazione a queste tematiche ad esempio nelle scuole e potremmo fare tante altre cose, bastano la volontà e il buon senso delle menti.
Credo che in un Paese che si confessi un rispettabile Paese democratico, non possa esserci promozione per una politica che protegge le caste e fa sì che queste si prendano gioco di altre persone, uccidendo un po’ alla volta la nostra democrazia, nello sberleffo di coloro che hanno perso la vita.
Sconfiggiamo la paura e passiamo alle azioni, cerchiamo già nel nostro piccolo di debellare le mafie.

Natale, festa di tutti


di Claudia Giannini
Un messaggio male interpretato, quello lanciato da una scuola elementare statale di Cremona. Di fronte al forte accento multiculturale che caratterizza l’istituto, infatti, i docenti hanno sentito la necessità di fare del Natale un momento di condivisione, al di là delle differenze etniche.
Hanno scelto il nome “Festa delle Luci” per esaltare lo spirito di pace e solidarietà che caratterizza questa festa. Il loro intento, hanno spiegato, non è rinnegare il Natale o la tradizione cristiana, ma non urtare le altre culture e permettere ai bambini, anche di altre religioni, di festeggiare una festa di pace insieme ai loro compagni.
Ma siamo in Italia, un’Italia che per proteggere le proprie tradizioni, mette in secondo piano le persone. Ne ha dato prova il Ministro Gelmini, che ha commentato con parole dure l’iniziativa: “Non si crea integrazione e non la si aiuta eliminando la nostra storia e la nostra identità. In particolare il Natale contiene un messaggio di fratellanza universale. Quindi è un simbolo che non divide ma unisce” Un commento cieco e estremamente semplicistico.
Anche perchè è proprio dalla consapevolezza di un Natale che può unire che è partita l’idea degli insegnanti del Manzoni. Troppo spesso infatti, si trattano tematiche etiche che dovrebbero essere condivise, come prerogativa della religione cristiana. La solidarietà, la pace, la fratellanza, esistono anche in altre culture e forse in Italia il Natale può essere interpretato in questo senso, accentuandone gli aspetti che sono condivisi da tutti. È questo lo sforzo che bisogna fare oggi, in un mondo in cui la parola d’ordine è multicultura. Le maestre del Manzoni hanno compreso che c’è il bisogno di aprirsi, ma soprattutto di dare ai bambini un insegnamento che sviluppi la loro capacità di interagire con le diverse etnie.
Niente scalpore quindi, o rinuncia alle proprie tradizioni. Semplicemente un tentativo di dare maggior valore al Natale, interpretandolo nel senso di una festa della pace e rendendolo quindi la festa di tutti.

Rileggendo la letteratura di destra


di Stefano Pietrosanti
Ultimamente mi sono ritrovato a guardare uno scaffale di libri letti e a trovarci in fila Tolkien, Borges, Junger, Pound. Praticamente la biblioteca di un pericoloso proto-fascista. Ora, contando che questo non è vero, ne desumo un paio di riflessioni. Prima: l’Italia, in quanto correa del nazifascismo e preda di una fortissima rimozione che l’ha privata di una riflessione seria e consequenziale sui suoi anni più tragici, ha avuto il suo cervello culturale monco. Certo, abbiamo contato tra i nostri cittadini degli ultimi settant’anni grandi e corposi pensatori, ma come entità nazional-culturale siamo stati contraddittori e pieni di rivalità sia sottese che evidenti, comunque molto ottundenti. Di questa condizione dolorosa è a mio parere un segno l’etichettatura politica che a lungo ha giocato al tirare per la manica grandi scrittori ora da una parte, ora dall’altra, ammazzandone comunque la fruibilità e sterilizzando la riflessione sia sul passato letterario recente che sul presente. Con questo non voglio negare che almeno uno degli autori citati esprima valori universalmente ed esclusivamente di destra, né voglio dire che l’ideologia e il pensiero politicizzati siano un male, ma semplicemente constatare (senza vantare nessuna originalità, oltretutto) uno dei tanti effetti della nostra storia recente che, schiacciando le forze pensanti del paese tra i partiti chiesa ci ha regalato due generazioni di classe dirigente formata o alla scuola della piazza, o a quella dei suddetti partiti. Perché è anche e in via preponderante questo che conta per creare l’humus culturale: ciò che legge, pensa, fa la classe dirigente di una nazione è quantomeno altrettanto importante di ciò che legge, pensa e fa il ceto intellettuale specialistico. A seguito di quegli stridori, malvissuti conflitti e lacerazioni, ho la sincera paura che negli anni settanta sia cominciato un percorso che continua tutt’ora in cui si è andato perdendo il giusto equilibrio tra speculatori – prendiamo per esempio un Giorgio Colli – che fortunatamente permangono e uomini di alta professione intellettualmente formati - tirando un nome mi verrebbe da dire Scalfari - che si diradano. Che c’entra con la cattiva lettura della letteratura così detta di destra? C’entra in quanto solo una classe dirigente mal formata può ingurgitare testi, vomitarli con l’etichetta di schieramento e dimenticarseli tutti in nome della faciloneria. Seconda: perché mi piacciono – e piacciono – questi autori? Credo perché è facile trovare in loro (come d’altronde in Heidegger) un gusto della struttura e della complessità e anche – in alcuni – una oggettività scientifica del linguaggio molto rassicuranti in una realtà sempre più destrutturata e liquida; precisione e concretezza che si coagulano attorno alla figura dell’uomo come individuo, come essere assoluto e autogiustificantesi. Senza l’esaltato languore di un D’Annunzio, ma con una forza studiata e solida questi autori hanno armato l’uomo di una corazza adatta a questi tempi: la corazza dell’Anarca, del Ribelle, di centro di senso; sono stati gli araldi di un umanesimo rabbioso che è più utile che mai per comprenderci, in quanto distillato del senso di difficoltà di pensiero e d’azione dell’uomo di fronte all’enormità. E’ un pensiero che ha tutti i pregi e i difetti dell’uomo cresciuto tra le difficoltà, solido ma pieno di nevrosi, asperità e luoghi bui. Preso però nella sua completezza può essere un compendio di errori utili da conoscere perché da non ripetere, ma soprattutto di ricchezza di senso, una ricchezza che non rinuncia ad una dimensione artigianale, di lungo, lento lavoro per catturare il frammento di granito che solo può reggere la complessità di ciò che ci contorna.

martedì 8 dicembre 2009

L’Italia e il trattato di Lisbona


di Matteo Napolitano
Il due dicembre duemilanove sancisce l’ennesima data importante per il folto diario di bordo del’Europa unita, dopo i trattati di Roma e Maastricht, entra in vigore il trattato di Lisbona, a ribadire i maggiori principi, non solo politici, del vecchio continente.
In un giorno in cui andrebbe acclamato un nuovo “sforzo” democratico contro i fanatismi e le discriminazioni, in Italia abbiamo il piacere contorto di leggere titoli di importanti quotidiani che recitano: «Pugni e calci al ristorante, massacrato un gay», «Minacciata con un coltello e costretta al sesso orale», «Dall’inizio dell’anno più di settanta violenze contro omosessuali». Lo sdegno nasce spontaneo. E’ possibile che in un’Europa in crescita, L’Italia possa rappresentare il fulcro delle discriminazioni a sfondo omofobico e del non rispetto, dell’ormai alquanto riconosciuta, parità dei sessi? A quanto pare sì. A confermarlo non è solo l’ISTAT ma i maggiori centri di ricerca statistica europei e mondiali che, dati alla mano, ci descrivono e automaticamente bollano come paese violento, irrispettoso e sessista.
Se pensiamo alla nostra Costituzione poi lo sdegno si moltiplica poiché, martoriata da scelte politiche alquanto discutibili (vedi vari ddl) e minata dai poteri forti, viene ormai considerata meno della carta da parati e portatrice di valori che, a quanto pare, sono rimasti pietrificati nella storia dell’immediato dopoguerra, della lotta al fascismo e alle disparità nel rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo.
Tutti questi avvenimenti sembrano non farci riflettere, sembra come se queste tematiche così maledettamente attuali ci diano input negativi e ci spingano sempre più alla regressione.In conclusione, davanti all’ennesimo capitolo importante, è caduta ancora una volta la fragile maschera dell’Italia falsa europeista e, ora più che mai, falsa democratica. Bel Paese au revoir!

Partito Democratico: tanti colonnelli, nessun soldato


di Andrea Passamonti
«Senti, ma che tipo di festa è? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente? Vengo. Vengo e mi metto vicino a una finestra di profilo in controluce, voi mi fate “Michele vieni di là con noi” e io: “andate, andate, vi raggiungo dopo”. Vengo. Ci vediamo là. No, non mi va non vengo».
Alla fine, come Nanni Moretti in Ecce Bombo, indeciso se andare o no alla manifestazione indetta dal Pd contro le strisce blu, il latinense tipo ha deciso per il non andare, un po’ per la pioggia (che però non ferma chi ha il cuore caldo), un po’ per la troppa simbologia (tante bandiere del Pd per una protesta che invece è generale), un po’ per i conferenzieri che prima votano, poi si ritirano sull’Aventino, infine rinnegano.
Preoccupa che un partito che dice di avere tredicimila votanti alle primarie e 6500 firme porti in piazza una cinquantina di persone.
Preoccupa ancora di più sapere che di quelle cinquanta persone la maggior parte era gente vicina al partito e forse una decina di persone erano cittadini comuni. Questo nonostante volantini, manifesti, facebook, pubblicità sui giornali e altro ancora.
Il Partito Democratico, diciamoci la verità, più che mettere il cappello alla battaglia contro le strisce blu dovrebbe guardare al proprio interno e capire perché questo pseudo partito non ha più una base. Una base non intesa come volgo incapace di intendere, ma una base attiva, propositiva, che partecipa alle questioni importanti all’interno del partito e si impegna per portare a termine battaglie valide.
Se la letteratura può aiutare a capire, il Pd pontino è l’equivalente della Compagnia dello Stucco dei ragazzi della via Pal: tutti comandanti, tenenti, colonnelli e generali, ma nessun soldato (i ragazzi ungheresi almeno un soldato lo avevano) .
E senza soldati le battaglie, quelle vere, difficilmente si vincono.

giovedì 3 dicembre 2009

L'Agronauta consegna la Petizione


Ecco il comunicato stampa del Comune sul nostro incontro con il Sindaco:

«Il sindaco Zaccheo ha ricevuto questa mattina una delegazione di studenti dell'Associazione l'Agronauta (Claudia Giannini, Martina Nasato, Andrea Passamonti).

Oggetto degli incontri il piano sosta, con particolare riferimento ad alcune proposte di convenzione per gli studenti, universitari e non, ed i docenti.

Il sindaco ha manifestato la più ampia disponibilità al confronto invitando le rispettive associazioni a produrre proposte che saranno tempestivamente vagliate e ove possibile accolte. Pieno impegno del sindaco anche in merito alla richiesta di potenziamento del servizio pubblico di trasporto (navette), peraltro già previsto dal piano».

La Carica delle 2600


Si è conclusa ieri 30 Novembre la raccolta firme de L’Agronauta contro il nuovo piano sosta. Le firme raccolte alle 15 di ieri sono state 2611, un ottimo risultato considerando la scarsa visibilità che può avere un’organizzazione giovanile.
Oggi presenteremo la nostra petizione al Sindaco, sperando in un riscontro positivo. Le nostre firme sono espressione di un malcontento comune e diffuso, che coinvolge i cittadini indipendentemente dall’appartenenza politica. Per questo speriamo che l’amministrazione comunale decida di dare ascolto alle voci di dissenso che si sono alzate contro la decisione di trasformare il centro di Latina in un’area ‘privatizzata’.
Al termine di questa avventura, L’Agronauta ha il dovere di ringraziare tutti coloro che si sono mobilitati e che hanno reso possibile questo risultato. Parliamo dei commercianti del centro in particolare, degli studenti che si sono dimostrati fortemente partecipi di questa iniziativa, ma soprattutto di tutti coloro che, a prescindere dalla convenienza personale, hanno firmato per solidarietà e per ribadire l’appartenenza alla comunità cittadina.
Abbiamo aperto la nostra petizione parlando di un’agorà, il centro delle antiche città greche, dimenticata. Oggi però, ne abbiamo ritrovato lo spirito, in tutti coloro che hanno scelto di partecipare.Ciò che è certo, è che questa dimostrazione di democrazia partecipativa, non può rimanere senza risposta.

mercoledì 2 dicembre 2009

"I giovani e l'ambiente verso Copenaghen 2009"


di Claudia Giannini
La questione ambientale rimane troppo spesso sullo sfondo. Numerose associazioni, però, lavorano con costanza per accendere i riflettori su questo problema così grave, che riguarda tutti da vicino. È questo il caso di Latina Sostenibile, che da tempo ormai cerca di sensibilizzare l’opinione pubblica del territorio pontino riguardo alle politiche ambientali da adottare per ridurre le emissioni climalteranti. Proprio a questo fine è stata organizzata una conferenza che si terrà sabato 5 dicembre alle ore 17,00 al Museo Cambellotti di P.za San Marco.
In quest’occasione Latina Sostenibile, con il supporto di Generazione delle libertà e la Facoltà di Economia dell’Università di Latina, si propongono di aprire un dibattito riguardo alla conferenza delle Nazioni Unite che si terrà a Copenaghen nel mese di dicembre. In particolare nella città danese si cercherà di andare oltre il protocollo di Kyoto e di raggiungere nuovi accordi internazionali al fine di ridurre l’inquinamento ambientale.
Oltre ad una finalità informativa, la conferenza di Sabato 5 si offre come momento di riflessione su ciò che ognuno, nel suo piccolo, può realmente fare per limitare l’emissione di fattori inquinanti.
Parteciperanno esperti nel settore e i temi trattati saranno i più vari, dal rapporto problematico giovani-ambiente, alle politiche ambientali europee e locali.
Un’occasione importante, da cui poter partire per ricreare l’armonia originaria che lega l’essere umano al proprio ambiente e che risulta, purtroppo, da secoli violata.
Per ogni informazione collegatevi al sito www.latinasostenibile.it

1 dicembre: Giornata Mondiale contro l'AIDS


di Martina Nasato

La data non è casuale: il 1 dicembre del 1981 fu diagnosticato il primo caso ufficiale di AIDS (acronimo inglese della Sindrome di ImmunoDeficienza Acquisita) nel mondo. Da allora la “peste del nuovo millennio” ha mietuto più di 25 milioni di vittime, e ancora oggi, dopo 28 anni, non è stata trovata una cura efficace e definitiva. I paesi più colpiti sono quelli più poveri del mondo,primo fra tutti il continente africano, seguito da alcune zone dell'entroterra asiatico e da alcuni paesi sud americani. Tra le varie conseguenze comportate dalla malattia, la più evidente è la sensibile diminuzione nell'organismo dei linfociti T: in pratica, il corpo umano perde gran parte delle proprie difese immunitarie, cosicché per una malato di AIDS un semplice raffreddore può essere letale. La Sindrome di Immunodeficienza Acquisita si manifesta dopo aver contratto il virus dell'HIV. Il fatto che esso si contagi sia entrando contatto con sangue infetto, sia attraverso rapporti sessuali non protetti, ha reso i tossicodipendenti e gli omosessuali le categorie più esposte al rischio di contrarre il virus, tanto che all'inizio, si parlò di GayRelated Immune Deficiency (cioè immunodeficienza dei gay). Alla luce di quanto appena evidenziato, alcune comunità religiose catalogarono l'AIDS come una “piaga divina”, volta a punire i comportamenti “fuori natura”. Le parole di questi “farisei” non hanno comunque scoraggiato la scienza che continua la sperimentazione di vaccini e terapie farmacologiche sempre più sofisticati, riuscendo a garantire ai malati una buona aspettativa di vita. Tuttavia, solo una piccola percentuale degli affetti da AIDS riesce ad avere accesso alle cure. Anche per questo i ministri della sanità, in seno al Summit mondiale che si tenne nel 1988, diedero il via all'istituzione di una Giornata Mondiale, che sottolineasse l'importanza della ricerca e della
prevenzione. Fino al 2010 il tema sarà “Stop AIDS: keep the promise” (cioè, “fermare l'AIDS: manteniamo la promessa”).