martedì 27 ottobre 2009

Berlusconi: più che politico, tipo sociale

di Claudia Giannini
La nuova prospettiva politica introdotta in Italia da Berlusconi quindici anni fa sembra stia mostrando i suoi difetti proprio a lui.
Il Cavaliere si impose grazie a uno sfondo storico-sociale che stava cambiando. Di fronte allo sgretolarsi delle ideologie, sotto l’eco dello sgretolamento del muro di Berlino e, ancor più importante, di fronte a una politica svelata nella sua corruzione, Berlusconi era la novità.
Persa fiducia nel sistema basato sullo spirito e sull’unità di partito, la politica apriva le porte a nuove figure provenienti da ambienti diversi e sempre meno a politici di professione.
E Berlusconi è colui che ha reso possibile in Italia questa trasformazione. La grande novità però, non è consistita solo nel suo emergere da non-politico, quanto piuttosto nella sua abilità nel trasformare il politico in un personaggio. Una sorta di ‘personalizzazione’ della politica, un uomo di stato che non è più simbolo di un’ideologia, ma di un modo di vivere, di uno stile di vita.
Il Berlusconismo è stato, ed è tutt’ora purtroppo, un ideale di vita più sociale che politico. Il Cavaliere è diventato il simbolo dell’uomo che è riuscito a farcela, ad avere successo e donne, a fare soldi, certo anche rubando, ma ‘almeno ha rubato bene’. Ecco il politico non politico. Il contenuto abbandonato per la forma. La morale vinta dal compromesso.
Ed ecco però, inevitabilmente, la doppia lama di quest’arma. Infatti un cambiamento così radicale, reso possibile dallo sfruttamento magistrale dei mezzi d’informazione, porta con sé l’inevitabile conseguenza, per chi ne fa uso, di essere al centro dell’attenzione, sempre e comunque. E non solo come politico, come oratore o capo del governo, ma come uomo, come tipo sociale. Proprio Berlusconi non può quindi lamentarsi se il caso D’Addario diventa affare di stato o se su facebook nasce un gruppo che spera la sua morte. Non può lamentarsi perché proprio questa notorietà è stata la sua fortuna, ottenuta grazie a una sapiente combinazione tra personaggio pubblico e privato.
Eppure, anche di fronte alla profonda immoralità della sua vita privata, non penso che i suoi sostenitori cambino idea, perché non basteranno mai escort o voli di stato a minare la popolarità di colui che è un esempio da onorare per milioni di italiani.
È questa la grande amarezza in fondo. Non è vero che ‘non ci sono più ideali’, semplicemente sono cambiati. Ora è l’autoaffermazione di sé l’obiettivo da raggiungere, senza nessuna considerazione dell’altro ed è per questo che Berlusconi è ancora così tristemente attuale.

La farsa delle primarie


di Andrea Passamonti

In tempo di crisi il consiglio più comune ai risparmiatori è quello di diversificare l’investimento. Proprio questo consiglio sembrano aver seguito i dirigenti locali del Partito Democratico in occasione delle Primarie della scorsa domenica.
Non sarà sfuggito ai più avveduti un mescolamento a dir poco sospetto nelle file dei sedicenti democratici, in particolare nelle due liste favorite alla vigilia del voto: Franceschini-Morassut e Bersani-Mazzoli.
Nella prima, nascosto tra i principali referenti del duo post-veltroniano, fa capolino Mauro Visari che approda nelle file della corrente centrista dopo essere stato esponente di spicco della sinistra giovanile, paladino dell’ala radicale del Pds, e aderente alla mozione Mussi (mai nel Pd!) nel congresso di scioglimento degli ex Ds.
Nella seconda il mescolamento è ancora più misterioso: cosa ci fanno insieme personaggi come De Marchis, Aielli e Bevilacqua?
Rinfrescata di memoria: solo qualche mese fa, in seguito alla disfatta del Partito Democratico alle elezioni provinciali, Alessandro Aielli chiedeva a gran voce le dimissioni del segretario provinciale Loreto Bevilacqua. Per non parlare di quando sempre Aielli si scontrò con il segretario comunale De Marchis per alcune sue decisioni riguardanti il porto e per presunti brogli alle primarie dei giovani democratici.
Gli accusati risponderebbero che l’obiettivo del partito è proprio l’eliminazione totale delle vecchie divisioni e favorire una mescolanza tra idee nuove.
Chi scrive è di altro parere.
Sembra che i dirigenti locali vogliano assicurarsi la presenza di seguaci in tutte le correnti in modo che non importi chi sia il vincitore, perché vinceranno sempre gli stessi.E così, in un’atmosfera gattopardiana, il popolo delle primarie vedrà il proprio partito cambiare tutto in modo che tutto rimanga com’è.

martedì 20 ottobre 2009

Di questi complottisti

di Stefano Pietrosanti
Viviamo uno strano periodo della nostra storia nazionale, una sorta di stasi a volte sonnolenta a volte sordida, in cui i passeggeri della democrazia italiana si trovano imbarcati su un treno in ritardo, che si muove lento e non accenna a recuperare. Come tutti i passeggeri di convogli ritardatari, in balia di guasti poco comprensibili, in noi si stigmatizzano tipologie umane “classiche”: ci sono quelli che stanno perdendo un appuntamento, totalmente concentrati sul loro mal di pancia e sonoramente o sommessamente maledicenti, chi è rassegnato e nemmeno si chiede perché, poi ci sono coloro che forse non hanno abbastanza fretta, magari sperano persino nel futuro rimborso del biglietto e quindi prendono il ritardo come una sorta di vacanza, una strana opportunità per discorrere in modo interessante. Il tanto chiacchierato meeting di Asolo delinea una situazione del genere: due gruppi di personale addetto al convoglio, un tempo certi – e alcuni con spocchia – delle ultime destinazioni del treno, forse anche dei destini ultimi dei pezzi di metallo che lo compongono, si trovano a dover ammettere il ritardo, la loro impotenza a breve termine e persino il forte equivoco su quali siano le leve di comando e sul come far funzionare gli scambi. Considerato questo, chiamano a raccolta un gruppetto di passeggeri e decidono di fare una salutare chiacchierata condivisa sugli argomenti di cui sopra. Ho avuto la fortuna di essere nel gruppetto di passeggeri chiamati a partecipare alla chiacchierata e voglio trarne due considerazioni. Prima: l’iniziativa è ottima, perché è un tentativo di creare in questo paese nuovi “salotti buoni”, canali riconosciuti di partecipazione, selettivi ma aperti, che permettano alle persone interessate di fare gruppo tra loro, scambiare contatti, discorrere. Senza questi canali, la partecipazione si restringe e passa solo per il caso, il familismo, il potere viene nutrito di se stesso e si riproduce incestuosamente peggiorando di volta in volta il suo DNA. Seconda: ci sono comunque dei chiari limiti, questi risiedono in buona parte nel “personale addetto” che ha convocato la chiacchierata. D’Alema e Fini sono due emblemi della storia politica degli ultimi vent’anni, motivazioni dietro gli effetti che prendono il nome di Berlusconi, Di Pietro e via citando; sono persone che, per gli ideali che rappresentavano e per errori personali, non si sono mai potute concedere il bellissimo dono della coerenza, crescendo se stessi e i propri figli politici apparentemente realisti ma nascostamente fragili e contorti. Però, con iniziative come questa, forse cominciano anche il lungo cammino per ripagare i debiti delle loro storie personali e non. In loro e tra i loro accoliti rimarranno sempre nostalgie irreali, frustrazioni di sogni (e incubi) perduti o mai sognati totalmente, ma promuovendo il dialogo - su temi solidi e non sui “ma anche” - tra le forze nuove, ben formate e informate di questa società, non potranno non dare nuova forza a concezioni socialiste o liberali, ma comunque democratiche, europee, civili, della gestione della vita pubblica. Sperando che il treno recuperi e che i nuovi capo-macchina non si chiudano nella cabina di pilotaggio, tra hostess e proclami poco consoni passati nel fonografo.

Mafia s.p.a


di Riccardo Di Santo
Prendiamo una città del basso Lazio, per motivi storici e culturali un crocevia nonché punto di confine fra due realtà dell’Italia prerisorgimentale, e adesso immaginiamo che questa città sia anche la sede di uno dei più importanti mercati ortofrutticoli dell’intera Europa: signori benvenuti a Fondi. Nel settembre dell’anno 2008 il prefetto Bruno Frattasi consegnò al ministro Maroni una lunga relazione sui rapporti esistenti fra i membri della classe rappresentativa Fondana, quali ad esempio il comune, diverse imprese commerciali tutte ben strutturate all’interno del MOF(Mercato Ortofrutticolo Fondi) e la famiglia Tripodo-Trani. Domenico Tripodo è una figura di indubbio rilievo nella struttura organizzativa della N’drangheta, tant’è che il suo trasferimento a Fondi fu frutto dell’espiazione del soggiorno obbligato (ovvero il confino di famiglie mafiose in diverse parti d’Italia reso obbligatorio dallo stato), durante il quale si ritiene che egli strinse numerosi rapporti d’amicizia con Boss campani, soprattutto casalesi, sempre pronti ad stringere alleanze in vista di affari (Roberto Saviano docet). Ora nel 2009 dopo la consegna di due relazioni e sopratutto dopo che la DIA aveva proceduto all’arresto di 17 uomini tra cui un ex-consigliere comunale e diversi membri delle N’drine calabresi, si è giunti ad una soluzione che non convince granchè: la giunta comunale si è sciolta come avviene in qualsiasi crisi politica. Ciò ha comportato innanzitutto il mancato commissariamento del comune per infiltrazioni mafiose e la possibilità per i soggetti dimessisi dalla carica di ripresentarsi alle prossime elezioni, rendendo tutto il lavoro della DIA e del prefetto di fatto inutile. Il mancato scioglimento del comune è stato giustificato dal presidente Berlusconi con il fatto che nessun membro della giunta e del consiglio comunale sia mai stato raggiunto da un avviso di garanzia. La pillola è stata ulteriormente addolcita dal Ministro Maroni che in un atto di puro amore della Patria ha affermato che fra il commissariamento per 18 mesi e le elezioni anticipate ha preferito «ridare la parola al popolo sovrano». «È stata fatta giustizia, restituendo la parola al popolo sovrano, che potrà scegliere da chi farsi governare - ha detto il senatore del Pdl Claudio Fazzone, coordinatore provinciale del partito - Noi siamo dalla parte della legalità e il Governo lo sta dimostrando con i fatti. La sinistra utilizza la lotta alla criminalità organizzata per tentare di sovvertire i risultati che il centrodestra ottiene democraticamente».
Non c’è dubbio che questa è una tesi che ascoltiamo spesso.

martedì 13 ottobre 2009

Prove di Plebiscito


di Andrea Passamonti
Fallito l’attacco al Quirinale per mezzo delle sparate contro il Presidente della Repubblica e la Corte Costituzionale, il Cavaliere cambia strategia preparando la «Grande Riforma».
Si, perché malgrado i proclami che hanno caratterizzato questo primo anno e mezzo di “decretatura” «il miglior Presidente del Consiglio degli ultimi centocinquant’anni» non è riuscito a fare abbastanza, ostacolato dal colore contro il quale si batte da tempo, che sia questo il rosso delle toghe, quello delle bandiere o il rossetto della D’Addario.
Al vaglio del Soviet Supremo che si riunisce periodicamente a Palazzo Grazioli pare ci siano la riforma del processo penale, l’introduzione del presidenzialismo e il ritorno della vecchia immunità parlamentare.
Una vera e propria rivoluzione sottoforma di legge costituzionale che, non potendo ottenere la maggioranza qualificata in parlamento (presumibilmente le minoranze si opporranno), dovrà essere poi sottoposta a referendum, senza il quorum del cinquanta per cento.
In più non sarà possibile, come accade per i referendum abrogativi, giudicare le singole riforme, ma si dovrà accettare o rifiutare il pacchetto completo. O tutto o niente. Facile prevedere come il Capo trasformerà un tema così importante in un semplice plebiscito, pro o contro Berlusconi.
Ma e davvero necessaria una riforma generale dei poteri dello Stato?
In realtà è un dato di fatto che, sebbene formalmente sia una Repubblica Parlamentare, l’Italia dei governi Berlusconi è già da tempo una Repubblica Presidenziale, o meglio Presidenzialissima.
Il Presidenzialismo classico, che trova il suo massimo esempio negli Stati Uniti, prevede un forte bilanciamento dei poteri: il parlamento è totalmente indipendente dal Capo dello Stato e ha l’esclusiva potestà d’iniziativa legislativa.
Nel “Presidenzialismo” (sostanziale) italiano il parlamento è totalmente dipendente dal Premier (la legge elettorale gli permette di nominare i deputati uno per uno) e si limita a ratificare i decreti governativi.
Non si capisce dunque quale sia la convenienza di una riforma in questo senso, eccetto il mascherare una nuova “legge salvapremier” attraverso una più ampia riforma costituzionale.
Sperando che in caso di sconfitta non se la prendano con i referendum rossi.

Obama: un Nobel di speranza


di Claudia Giannini

“Non sono sicuro di meritarlo”. Ha mostrato la sua umiltà anche in questa occasione Barack Obama, quando, inaspettatamente, è stato insignito del Nobel per la Pace. Un premio che prima di lui ha riguardato personalità come Madre Teresa di Calcutta, Yasser Arafat e organizzazioni come Amnesty International.
Una bella responsabilità la sua. A maggior ragione considerando che gli è stato assegnato a meno di un anno dall’inizio del suo mandato, prima che potesse concretamente adoperarsi per la pace.
Eppure un motivo c’è. Obama è una grande speranza, non solo per l’America, ma per il mondo. Ed è una speranza che parla al mondo, usa le parole e comunica un cambiamento. Lo trasmette quando annuncia un rientro imminente dall’Iraq e quando sottolinea come il problema nucleare sia un problema di molti Paesi, non solo di alcuni.
È un Nobel per la pace dunque, che viene affidato sulla parola. Una parola importante e significativa, ma pur sempre da mantenere. Per questo Obama ha un grande e nobile fardello: deve convincere attraverso i fatti di meritare questo riconoscimento, ma ha tempo a sufficienza per poterlo fare.
Eppure la forza della sua personalità emerge già da quelle poche parole pregne d’ umiltà. Parole di chi si considera uno come gli altri, solo con più responsabilità. Quanto siamo lontani dagli anni amari dei suoi predecessori, quando un Bush che si credeva dio poneva la sua Presidenza e il suo Paese sul colle più alto del mondo.
Obama è un presidente innovativo e, se tramuta in fatti le sue intenzioni, può realmente cambiare l’America. Da paese guerrafondaio e arrogante, potrebbe tornare ad essere terra di libertà e fratellanza. Perché l’errore più grande dell’Occidente, in primis degli Stati Uniti,è quello di essersi sempre posto come domanda e come risposta, come verità assoluta, senza interpellare l’altra parte di mondo. E se davvero il primo presidente nero riuscirà in tutto questo, se cioè riuscirà a confrontarsi pacificamente con gli altri Paesi per risolvere problematiche ormai globali, allora potrà dirlo forte d’aver meritato il Nobel. Ma, sono certa, non lo direbbe mai, lascerebbe elegantemente ai fatti il compito di dimostrarlo. E noi saremo lì, ad applaudire.

martedì 6 ottobre 2009

D’Alema: laicità sì, ma senza esagerare


di Claudia Giannini

È stato accolto con calore l’On. D’Alema qui a Latina. Il suo incontro tenuto a teatro il 29 settembre aveva il fine di sostenere la mozione Bersani in vista del congresso del 25 ottobre. Come di routine il discorso è iniziato sottolineando l’inadeguatezza del governo Berlusconi in merito al modo di affrontare la crisi o il problema dell’immigrazione clandestina. E proprio quando il discorso stava prendendo una piega tutt’altro che costruttiva e pericolosamente anti-berlusconiana, il pericolo è stato scampato. Abilmente D’Alema ha fatto presente la necessità del Pd di porsi come un’alternativa valida di governo, in contrasto con l’idea di un partito che esiste solo in funzione di opposizione. Ha parlato di contenuti ed è saltata fuori una parola importante, a cui l’ex presidente del consiglio ha dato molto peso: identità. È bastato questo per rivedere la speranza. Tornare a credere in un partito che deve avere degli ideali, che anzitutto deve rappresentare delle idee. Perché come si può pensare a un ‘fatti, non idee’ stile Mansutti? È solo dalla spinta ideale che può nascere un partito in grado poi di applicare questi presupposti teorici a una situazione reale, al fine di cambiarla.
Identità, pari opportunità e infine laicità.
Si, perché un altro punto fermo nella mozione Bersani è quello di una politica laica, indipendente. A questo punto il discorso sarebbe stato perfetto, se D’Alema si fosse fermato qui.
Il problema è che ha voluto continuare. Ha ceduto alla tentazione di dare un colpo al cerchio e uno alla botte. S’è accorto forse che per continuare a far vivere il Pd serve l’appoggio di tutta la corrente margheritina. Serve l’appoggio dei cattolici, è inutile negarlo. Il Partito Democratico nasce da queste doppie fondamenta ed è questo il suo più grande limite. E per farli contenti questi cattolici, sul finire del suo discorso D’Alema ha portato esempi della gloriosa storia democristiana, finendo con l’immancabile lode allo spirito del cristianesimo. Ed ecco crollata l’ultima speranza, emanciparsi da quest’ombra di santità.Grazie lo stesso Don Massimo.

Capitan Uncino e la giustizia a orologeria


di Andrea Passamonti
Nel manuale Istituzioni di Diritto Privato di Pietro Trimarchi si legge: «Il processo è una vicenda pratica, nella quale non si può pretendere di raggiungere la certezza assoluta. In materia penale occorre, ed è sufficiente, una certezza esente da ogni ragionevole dubbio. In materia civile il criterio può essere forse meno rigoroso. Occorre però in ogni caso che si tratti di una probabilità preponderante». Insomma, si può essere assolti in materia penale e condannati in materia civile.
È vero, si tratta ancora di una sentenza di primo grado, ma secondo il Tribunale civile di Milano Silvio Berlusconi è a fini civilistici «corresponsabile della vicenda corruttiva» alla base della sentenza con cui Mondadori fu assegnata a Fininvest, allora amministrata dal Cavaliere.
E se per Il Giornale di Feltri Berlusconi viene accusato di un reato per cui non è mai stato condannato penalmente, il diritto ci dice che non è impensabile una sentenza di questo genere.
In fondo è una probabilità preponderante che l’amministratore della società sia a conoscenza della corruzione di un giudice con denaro (tre miliardi di lire) proveniente da conti esteri di cui era beneficiaria la sua società.
Nonostante questo c’è chi grida alla giustizia a orologeria, come il buon vecchio Capitan Uncino gridava non appena si avvicinasse il ticchettio del coccodrillo. E come il Capitano, il Cavaliere chiama a raccolta i suoi tanti Spugna per sparare a zero contro una sentenza non gradita.
Così la maggioranza parte al contrattacco inneggiando a golpe giudiziari, disegni eversivi e, in ultimo, a una manifestazione di piazza contro la decisione giudiziaria, con la possibilità di un pericoloso precedente e, questo si, golpe antidemocratico.
Intanto l’opposizione insorge richiamando al rispetto della magistratura, ma un imperativo è d’obbligo: guai a sconfiggere Berlusconi solo attraverso la giustizia o cavalcandone l’onda. Si spalancherebbe la strada al prossimo Cavaliere e di “Cavalieri”, se permettete, uno basta e avanza.