martedì 13 luglio 2010

Cassazione: Picchiare la moglie che ha un carattere forte non è reato


di Martina Nasato
Picchiare la moglie non è reato se questa ha un carattere forte e non si lascia intimorire dalle percosse. Questo è, in sintesi, quanto stabilito dalla Corte di Cassazione nei confronti del signor Sandro F., un quarantacinquenne di Livigno. L'uomo era stato condannato cinque anni fa in primo grado e nel 2007 la sentenza era stata confermata dalla Corte d'Appello di Sondrio: 8 mesi con la condizionale e l'obbligo di risarcimento dei danni e refusione delle spese legali alla moglie, la signora Roberta B.. La Cassazione ha però ribaltato la decisione assolvendo del tutto il signor Sandro, «perché il fatto non sussiste». Nonostante questi avesse picchiato e minacciato la moglie in molteplici occasioni nell'arco tre anni. Si legge fra le motivazione della Cassazione che: «la condizione psicologica di Roberta B., per nulla intimorita dal comportamento del marito, era solo quella di una persona scossa, esasperata, molto carica emotivamente.» Tutto ciò, nonostante risulti chiaramente dalla condanna della Corte di Appello che «la responsabilità dell'imputato era provata sulla base di sue stesse ammissioni, anche se parziali, e sulla testimonianza di medici, conoscenti e certificati medici, da cui si ricava una condotta abituale di sopraffazioni, violenze e offese umilianti, lesive della integrità fisica e morale della moglie sottoposta a continue ingiurie, minacce e percosse». Per la Cassazione, invece, i giudici d'Appello avevano preso un abbaglio, scambiando per sopraffazione un banale clima di tensione fra coniugi. D'altra parte, è difficile credere che una persona dotata di intelligenza media non sia in grado di distinguere un clima di violenza da semplici dissidi fra coniugi: dove c'è minaccia c'è violenza psicologica, dove c'è percossa c'è violenza fisica. Si è ben oltre la tensione. Il fatto che l'altra parte reagisca con fermezza non cambia le cose. Tanto più se si tratta di marito e moglie, persone che vivono sotto lo stesso tetto e per le quali le ragioni di scontro si moltiplicano. Le conclusioni che si possono trarre sono poche e retrograde: anzitutto, si giustificano di fatto le percosse e le minacce fra coniugi, facendo rientrare all'interno della nozione di “violenza domestica” solo i casi in cui la vittima sia sopraffatta anche psicologicamente; in secondo luogo si alimenta il cliché sessista che vede la donna naturalmente subordinata alla superiorità del marito. Ci si potrebbe chiedere come sarebbe andata se la signora Roberta fosse stata più docile e mansueta: il signor Sandro avrebbe reagito più pacatamente? O ne avrebbe approfittato per infierire? La politica del diritto italiano si riconferma ancora una volta culturalmente maschilista, facendo superare la nozione di “persona” da fuorvianti e diseducative distinzioni fra uomo e donna.

2 commenti:

  1. E così intanto si creano i precedenti pericolosi

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  2. (Martina Nasato)
    Esatto, considerato soprattutto che le sentenze della Corte di Cassazione "indirizzano" le successive sentenze delle corti di merito e di Appello.

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