martedì 17 agosto 2010

De Andrè canta De Andrè


di Andrea Passamonti
Devo essere sincero: quando ho comprato il biglietto non mi sarei mai aspettato un ottimo concerto. Buono sì, ma non ottimo. È il solito problema dei “figli di” quello di essere considerati inevitabilmente proprietari di una corsia preferenziale verso il successo senza essersela meritata del tutto. Se poi ti chiami De Andrè, tuo padre Fabrizio è stato uno dei cantautori più importanti della musica italiana e decidi di fare tu stesso il cantante allora quella corsia verso il successo potrebbe diventare un vero e proprio campo minato. Ancor di più se giri l'Italia cantando le sue canzoni.
Sarà balenato per più di qualche testa questo pensiero mentre il pubblico di Villa Adele, ad Anzio, sedeva sabato scorso aspettando Cristiano De Andrè sotto un cielo che non prometteva nulla di buono. Il nostro si fa aspettare e non c'è da stupirsi se dalla scelta della taglia migliore per l'immancabile t-shirt si finisce per discutere con un tale di critica anarchica del carcere, del Panopticon Benthamiano passando per Foucault. D'altronde padre e figlio sono di indubbia fede anarchica, come Cristiano dirà di lì a poco, e qualche riflessione sul tema può scappare.
Il concerto inizia sotto un breve scroscione di pioggia, contrastato dagli ombrelli portati dai più previdenti e da qualche albero, che però non riesce a guastare le prime canzoni rigorosamente in dialetto. Dal vivo la sua voce è ancora più simile a quella del padre e il genovese incrementa le loro affinità.
Il concerto prosegue. Cristiano suona la chitarra, il violino e la pianola dimostrandosi artista polifonico. Spiega che le canzoni sono riarrangiate insieme a Luciano Luisi per consentirgli di raccontare attraverso i suoi gusti musicali le canzoni del padre e inserisce qualche simpatico aneddoto sulla vita di Fabrizio tra le canzoni: Smisurata preghiera, La canzone di Marinella, Andrea, Un giudice...
Poi arriva Creuza de ma, quello straordinario inno alla sua città e ai suoi marinai, anche questo accompagnato da una leggera pioggia, ma questa volta al diavolo gli ombrelli! Questa è poesia e le gocce d'acqua sembrano portarci su quei viottoli di mare della sua Genova.
Più di due ore di concerto che, dopo i classici Bocca di Rosa e Il pescatore, termina con la commovente Canzone dell'amore perduto.
Non c'è altro da aggiungere, Cristiano De Andrè è riuscito nel suo intento: dimostrare di essere un grande artista e ricordare la figura di suo padre Fabrizio, figura geniale e inimitabile. Figura da non dimenticare.

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