martedì 31 agosto 2010

Disoccupazione e debito pubblico non fermano Alfano


di Martina Nasato

Il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha nei giorni scorsi dichiarato che il Governo provvederà a reperire “fondi straordinari” per il processo breve. La giustizia italiana, si sa, ha tempi biblici, un po' a causa dell'ingombrante burocrazia, un po' a causa degli stessi italiani: quasi tutti refrattari alle regole della civile convivenza e piagnoni nell'animo, si rivolgono ai giudici anche per la risoluzione di banalissime liti condominiali. I sostenitori di questo disegno di legge lo promuovono come una necessaria riforma della giustizia, i detrattori lo dipingono come un'amnistia, o peggio, impunità legalizzata. Riassumendo in cosa consiste e cosa comporta il processo breve: esso si prefigge di accorciare i tempi della prescrizione, la quale scatterebbe dopo due anni dalla richiesta di rinvio a giudizio del pubblico ministero per i processi in corso in primo grado e per reati inferiori ai dieci anni di reclusione. Virtualmente, in questo modo la formula giudiziaria sarebbe più veloce e la pratiche snellite. All'atto pratico, però, molti cittadini che attendono giustizia vedranno le loro speranze crollare. Secondo le stime effettuate dal Governo, un processo nel nostro paese ha una durata media di circa sette anni e mezzo. Il processo “breve” non potrebbe durare più di sei anni in tutto. E se le parti lese non vengono soddisfatte? E se nei tre gradi di giudizio non si è riusciti a risolvere la questione? Amen. L'illecito o il reato sono prescritti e l'imputato non è più perseguibile. Non “assolto”, come dice qualcuno, ma “non perseguibile”: anche se colpevole, non salderà il conto con la giustizia. Così, mentre ancora si discute sull'effettiva utilità ed efficacia reale di questa “riforma giudiziaria”, il Ministro della Giustizia comunica all'Italia che verranno reperiti fondi straordinari (presi da dove?) per la sua messa in atto. Nel frattempo, però, sempre più famiglie vivono di sussidi, liquidazioni e cassa-integrazioni; le aziende, le fabbriche, la produzione si spostano all'estero e lo Stato non fa nulla per impedirlo; gli italiani devono “stringere la cinghia” e prepararsi alla Manovra di Tremonti, nostro Grande Timoniere. Per fortuna di questi governanti, i governati sono troppo impegnati a sopravvivere.

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