martedì 23 novembre 2010

Storie di nuovi emigranti


di Martina Nasato
«E partiva l'emigrante, e portava le provviste e due o tre pacchi di riviste». Era il 1978 quando Rino Gaetano omaggiava in musica una figura, quella dell'emigrante italiano, per cui abbandonare la propria terra è sempre, in ogni epoca, una scelta dolorosa. Anche solo cambiare regione, spostandosi all'interno del territorio nazionale, si traduce in una separazione difficile: abbandonare il proprio dialetto per incontrarne di nuovi e sconosciuti, con musicalità diverse; allontanarsi dalla rete sociale, più o meno fitta, in cui si era inseriti sin dall'infanzia; incontrare nuovi climi, nuove luci e nuovi odori; lasciare le proprie radici. L'emigrante italiano si sposta per scelta o per necessità, abbandona la propria terra, madre e matrigna, la quale gli ha dato la vita ma non di che vivere. E se un tempo a spostarsi in cerca di fortuna erano gli ultimi, i più poveri, quelli che in fondo non avevano nulla da perdere, oggi ad andarsene (soprattutto all'estero) sono giovani brillanti e preparati, poliglotti, il più delle volte laureati, che nel loro Paese non riescono a raccogliere frutti adeguati se commisurati alle loro fatiche. L'Agronauta ne ha intervistati due. O.P. ha 30 anni: napoletano d'origine, cresciuto a Roma, oggi vive a Madrid dove lavora come reporter per la tv spagnola. Laureato in Scienze della Comunicazione, conosce la Spagna nel 2003 grazie a un Erasmus a Salamanca. Nel 2008 la svolta: O.P. decide di partire per Madrid, senza che lì ci fossero un lavoro o degli amici ad attenderlo. Come un emigrante di altri tempi, sfida la sorte armato solo del suo bagaglio, culturale e non. Quella che doveva essere un'avventura temporanea si prolunga ormai da due anni e mezzo: «A volte è dura non potersi esprimere nella propria lingua, soprattutto se si fa il giornalista. La famiglia è lontana e col passare degli anni è difficile vedere i genitori invecchiare da lontano. Per il resto a Madrid non manca nulla: il cibo italiano lo si trova o lo si trasporta nel trolley ogni volta che si passa per Roma; per la poca tv che vale la pena vedere, c'è internet.» Riguardo un eventuale rientro in patria, poi, aggiunge: «Attualmente non tornerei in Italia perché non avrei le possibilità che offre un Paese più meritocratico come la Spagna. Quando ci si abitua al rispetto della legalità e della cosa pubblica è dura tornare alla giungla italiana. Insomma, a medio termine non credo tornerò in Italia.».
I.D., invece, è un ragazzo romano, di anni ne ha 33, e da 2 vive a Ginevra, dove lavora presso il CERN. È laureato in Ingegneria Elettronica e in passato ha vissuto anche in California e in Germania. Anche per lui i primi tempi nei nuovi Paesi, lontano da casa e dagli affetti, alle prese con una nuova lingua, sono stati duri. Tuttavia: «La nostalgia è qualcosa con la quale prima o poi impari a convivere. L'Italia, per me, è il paese più bello del mondo.» Poi aggiunge, citando Pavese: «Un paese vuol dire non essere mai soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo che anche quando non ci sei resta ad aspettarti.» Però in Italia, I.D. riusciva ad ottenere solo contratti trimestrali. Gli chiediamo se, oggi come oggi, tornerebbe a casa: «Nonostante io provi a negarlo, so che lo vorrei. O forse vorrei non essere mai partito, in maniera tale da vivere quei luoghi con gli stessi occhi di prima. Sono certo che un giorno tornerò in Italia, sperando di trovare posti di lavoro dove si viene considerati per quello che si vale, dove venga data fiducia anche ai giovani, dove vengano offerti contratti lavorativi di almeno quattro o cinque anni, e dove vengano corrisposti stipendi che permettano di vivere con dignità. Se qualche volta sono critico con il mio Paese è solo perché ne sono innamorato veramente, e mi piange il cuore vederlo afflitto da tanti limiti che potrebbero essere abbattuti solamente con un po' di buona volontà ed impegno comune.»
Le storie di O.P. e di I.D. sono simili a quelle di migliaia di frammenti di Italia sparsi per il mondo: legati alla loro terra da un ricordo nostalgico, scelgono, però, ogni giorno il loro futuro, fatto prima di tutto di dignità. Una cosa che mamma Italia sembra non essere più in grado di offrire. Purtroppo.

2 commenti:

  1. Hola a todos, sono O.P. di cui sopra. Martina ha colto nel segno, nella maggiorparte di noi emigrati convivono soddisfazioni e nostalgie. La mia storia è quella di migliaglia di nuovi emigranti sparsi per il mondo alla ricerca della meritocrazia e della pulizia che, purtroppo, in Italia sono scomparse. Un abrazo y enhorabuena

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  2. Io sono "in giro" da ormai tre anni. Da tre anni faccio il lavoro che voglio e riesco a trovare lavoro senza particolari problemi in varie parti del mondo (in Italia non ci ho ancora provato). Mi sento un po come I.D. . Vorrei tornare in Italia a lavorare ma tutti mi dicono che sono matto e di stabilirmi all'estero e tornare in patria solo per le vacanze. Se ci penso mi piange il cuore. Ma d'altra parte riuscirei ad avere le garanzie minime per stabilirmi in Italia ed avere una famiglia? Purtroppo la risposta temo sia NO.

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