martedì 7 dicembre 2010

Università e ricerca: area “privata”


di Matteo Napolitano
“La tendenza generale del mondo è quella di fare della mediocrità la potenza dominante” . Scriveva così il grande filosofo ed economista J.S. Mill nella prima metà dell’ottocento, e non sbagliava.
All’indomani del voto della camera sulla cosiddetta “riforma Gelmini”, la deriva per l’università pubblica italiana sembra essere, ormai, quasi giunta a compimento.
Se il governo riuscirà a superare questo periodo di dissidio ed avrà tempo e forza per varare tutti i decreti attuativi necessari, atti alla completa realizzazione del disegno di legge, ci troveremmo di fronte ad un’università ancora più privatizzata e ancora più sbilanciata a favore di un’illogica generalizzazione dei saperi.
L’ingresso delle imprese nei consigli d’amministrazione degli atenei e nelle fondazioni permetterà ai “maghetti del marketing” di sfruttare gratuitamente laboratori e conoscenze, e di insinuarsi in tutti gli ambiti favorevoli alla crescita dei loro affari, le pressioni opportunistiche di Confindustria e il disordinato attivismo oppositore della CRUI (Conferenza dei rettori delle università italiane) confermano inoltre la tendenza ad una generale eliminazione di tutti quelli che vengono considerati “saperi inutili” ossia, quegli ambiti di ricerca meno incentivati e che, apparentemente, restano infruttuosi per anni.
I ricercatori che in questi giorni sono saliti sui tetti dei principali atenei italiani rivendicano il loro diritto al sapere libero in ogni sua espressione, sia essa considerabile utile o no, e il sacrosanto riconoscimento per il lavoro svolto a livello di studio e di didattica, in fondo, dedicare la propria vita allo studio non può e non deve essere visto come un “suicidio” specialmente in un paese che ancora si professa democratico.
Il ministro Gelmini ha affermato in un’intervista radiofonica che la sua riforma “l’avrebbe finalmente fatta finita con l’egualitarismo del ’68 aprendo nuove strade più meritocratiche”, ma mi chiedo, come ci può essere meritocrazia senza diritto allo studio? Come ci si può meritare qualcosa se non si ha la possibilità di iniziare un percorso seguendo le proprie attitudini? La risposta la lascio ad un paese che spero sia ancora degno di guardare con occhio critico e attento alle proprie risorse. Meritatamente.

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