martedì 20 aprile 2010

Legge Impedimento


di Riccardo Di Santo
Ho sempre odiato il fatto di porre le prefazioni all’inizio dei libri: come si può capire ciò che il critico scrive sul testo se prima non si è letto questo? Ed è per questo che, prima di dire qualsivoglia cosa sulla legge n.51/2010 riguardante il “legittimo impedimento”, intendo riassumerla affinché ciascuno possa farsi la sua opinione sull’obiettivo perseguito da essa e sui modi seguiti. Innanzitutto chiariamo che per legittimo impedimento s’intende la situazione in cui l’assenza dell’imputato è dovuta all’assoluto impossibilità di quest’ultimo di comparire, per caso fortuito o forza maggiore, all’udienza. Il testo normativo consiste di due semplice articoli, quasi ridicoli nella loro semplicità: L’uno afferma che, per il Presidente del consiglio dei ministri ed i suoi Ministri, costituisce legittimo impedimento l’esercizio delle attività loro attribuite dalla legge e dai regolamenti e qualsiasi attività considerabile coessenziale alla “funzione di governo”. Di fronte all’attestazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri della presenza di un impegno, il giudice rinvia il processo ad altra udienza che non può distare più di sei mesi dall’ultima. Il corso della prescrizione rimane sospeso per l’intero durata del rinvio e, guarda caso, «Le disposizioni del presente articolo si applicano anche ai processi penali in corso(…)». Il secondo articolo è il più paradossale, in quanto fissa un limite temporale d’efficacia alla stessa legge affermando che essa si applicherà fino all’entrata in vigore di una improbabile legge costituzionale recante le (N.D.A. nuove) prerogative del Presidente del Consiglio e dei Ministri, e comunque entro 18 mesi dalla sua entrata in vigore «(…) al fine di consentire il sereno svolgimento delle funzioni loro attribuite dalla Costituzione e dalla legge». Solo ora si possono porre osservazioni e/o critiche alla legge che finora si dividono in due principali correnti di pensiero dei costituzionalisti. Alcuni giudicano che la legge (come quella sulle rogatorie del 2001) verrà di fatto resa inutile dall’interpretazione che di essa faranno i magistrati, in base all’art. 420-ter del codice di procedura penale, richiamato dalla stessa, il quale disciplina che il riconoscimento della presenza o meno di un impedimento è affidato alla libera valutazione del giudice. Altri invece riconoscono nella legge la presenza di una evidente illegittimità costituzionale in quanto essa crea di fatto delle nuove prerogative agli organi costituzionali, e come già affermato nella sentenza 262/2009 che ha bocciato il lodo Alfano, tali prerogative devono essere concesse solamente mediante legge costituzionale e non attraverso il legislatore ordinario. La prospettiva descritta nel secondo articolo della legge in questione, secondo la quale essa si ricollega ad una futura legge costituzionale è totalmente insufficiente a garantire questa da un giudizio di illegittimità. La questione è delicata in quanto ci si trova di fronte ad una legge che gioca la sua esistenza sia sui precedenti della corte costituzionale e sia sulla sua stessa inutilità di fondo. Personalmente ritengo che la soluzione sia nel mezzo: cioè che la legge rimarrà di fatto inapplicata grazia alle interpretazione che riceverà dai giudici fino al suo probabile giudizio di illegittimità costituzionale. Tutto ciò sempre che l’opposizione non partecipi all’ennesimo tradimento dei suoi elettori e partecipi attivamente ad una legge costituzionale fatta per il beneficio di una sola persona.

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