di Claudia Giannini
La Sapienza si mobilita. In particolare le facoltà di Lettere e filosofia, Filosofia, Studi orientali e Psicologia hanno scelto l’arma del blocco della didattica per il mese di ottobre. Questa decisione, votata quasi all’unanimità il 21 settembre scorso è l’ultimo dei disperati tentativi di porre un freno al “perverso processo di aziendalizzazione e depauperamento dell'Università di Stato in atto”, come si legge nel testo della mozione.
Accanto alla sospensione della didattica, altre facoltà hanno scelto vie di protesta meno drastiche ma tutte hanno reagito all’evidente impossibilità, sottolineata dallo stesso Rettore Luigi Frati, di dare inizio all’anno accademico nelle attuali condizioni finanziarie in cui il Governo mantiene l’Università pubblica.
Al centro della polemica soprattutto i tagli indiscriminati alla ricerca. Tagli che risultano ancor più gravi perché, allargando l’orizzonte a un’ottica di progresso nazionale, costituiscono un handicap per lo sviluppo, non solo culturale, ma economico del nostro Paese.
Mentre La Sapienza è sul piede di guerra, la maggioranza di governo cerca di salvare l’incriminato disegno di legge Gelmini, spingendo perché l’approvazione avvenga il prima possibile, magari anticipando la data del 14 ottobre, giorno in cui è prevista la discussione alla Camera dei Deputati.
Eppure lasciando sullo sfondo le manovre politiche, ciò che emerge dal punto di vista della protesta, sono due elementi: da un lato la mobilitazione effettiva dell’università, in particolare di alcune facoltà, arrivando alla decisione drastica della sospensione della didattica. Dall’altro però la triste consapevolezza della poca risonanza che questa protesta sta avendo a livello mediatico.
Sfogliando i giornali, si parla sì di proteste studentesche, in maniera vaga e poco incisiva, ma l’attenzione è tutta focalizzata sulle manovre del Governo e al massimo sulla voce dei Finiani che portano avanti timidi tentativi riformatori del decreto. Non si parla di opposizione, ma ancor meno di mobilitazione popolare.
Se tra le mura de La Sapienza l’idea dominante è quella di aver messo un freno importante all’approvazione del decreto, dall’altra parte, tra la gente comune, informata da tg e giornali, neanche si sente parlare di questa protesta.
È quindi riconfermata l’amara crisi che sta vivendo la libera informazione in Italia. La stridente opposizione tra i problemi reali, in questo caso la riforma universitaria e l’opposizione popolare che sta trovando, e l’informazione veicolata di mass media corrotti.
Tornando quindi nello specifico alla decisione del blocco della didattica, viene da chiedersi quanto sia efficace. Dal punto di vista pratico significa mettere in serie difficoltà i percorsi di studio degli studenti, e solo di alcuni, perché non tutte le facoltà hanno scelto l’arma del blocco. Se a questo si aggiunge la difficoltà di essere incisivi e di squarciare il velo di Maya della comunicazione nazionale, viene da chiedersi se non sarebbe preferibile adottare forme differenti di protesta. In particolare forme che puntino alla sensibilizzazione nazionale, che significherebbe perdita di consensi per la maggioranza e conseguente impatto politico. Il blocco della didattica infatti, è sì un disservizio, ma lo è solo per gli studenti.
Con questo non nego la necessità assoluta di opporsi al decreto che lentamente e perversamente tenta di uccidere l’Università pubblica, con qualsiasi forma di protesta, purché animata da una ratio che tenga conto della situazione del Paese e del modo in cui queste proteste vengono percepite dall’opinione pubblica.
Il fondamento della legge, scriveva Benjamin Constant, filosofo e politico liberale di inizio Ottocento, è sempre extragiuridico. Per cambiare la legge, è necessario quindi cambiare prima l’opinione pubblica che approva e sostiene quella legge.
Arduo compito, qui in Italia, aggiungo io. Dove l’opinione pubblica, più che approvare o disapprovare, semplicemente si lascia trascinare dagli eventi, rifugiandosi in luoghi comuni e arrendendosi alle notizie filtrate dai tg.
Per il momento non ci resta che aspettare, nello specifico che il ddl arrivi in aula.
Lezioni sospese, speriamo almeno che sia davvero utile a salvare l’Università pubblica.
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