di Matteo Napolitano
“Si respira un’atmosfera paradossale qui ad Avetrana, è la prima volta che vedo tutte queste persone, sembra di essere nel grande set di un film dell’orrore”. Esordisce così, quasi sbigottita, una signora che si pronuncia davanti ad una delle milioni di macchine da presa che in questi giorni hanno letteralmente invaso la tranquilla realtà provinciale pugliese di Avetrana.
Ore ed ore di bombardamento mediatico sulla tragica vicenda che ha visto protagonista la giovane Sarah Scazzi, dirette infinite dagli studi di tutte le reti, ammiraglie e non, telegiornali quasi interamente dedicati all’accaduto e poi rubriche, approfondimenti, “Barbara D’Ursate”, stronzate, indiscrezioni e quant’altro serve per generare curiosità, per scatenare la libido del pensionato o del lavoratore in carriera, della casalinga o delle galline e dei galli da bar.
Facciamo tutti parte di questa macchina corsara e consumistica, siamo tutti dentro qualsiasi vicenda, possiamo tutti esprimere un nostro parere, possiamo mandare tranquillamente a farsi fottere Sir Arthur Conan Doyle, i gialli educativi, i film di Hitchcock, non ci interessa niente se non sapere in modo effimero, volere, toccare con mano tutto quello che si può toccare e che non si può toccare.
La voce della televisione è una voce imperante, possente, più forte di qualsiasi testa pelata o quasi pelata, induce le menti al proprio annullamento a quale costo morale? Zero.
Sembrano fantasmi le migliaia di turisti che sono giunti nel piccolo paesino pugliese, si guardano intorno quasi delusi, quasi a dire “certo mi aspettavo di meglio”, forse volevano trovare l’assassino che si aggirava intorno al luogo del delitto con fare disinteressato, le tracce di sangue da seguire, le nuvole basse e i corvi appollaiati sui pali. Quello non è un set purtroppo, è l’immagine di questo paese.
L’Italia è schiava di ciò che detta la scatola nera dei suoi desideri più nascosti, si è parlato tanto di “tv dell’orrore” e bene, bisognerebbe osare di più, non uso mezzi termini nel dire che quello che stiamo osservando attoniti è puro feticismo; ci si sta innamorando in modo compulsivo dello spettacolo della morte, sta piacendo, milioni di italiani stanno godendo nel pensare che probabilmente uno zio incestuoso ha violentato la nipote nell’apassionalità del suo cadavere strangolato, stanno masturbando i loro cervelli con costruzioni e ricostruzioni fasulle, ma è questo che deve accadere, è questo quello che lo schermo vuole e quello che noi chiediamo.
Questo sistema di informazione-distruzione è frutto di logiche ben precise, prima di tutto viene il “guardate, consumate, scannatevi” poi si passa alle controffensive dirigenziali e moralistiche di cui il direttore generale della Rai, Masi, ha dato grande dimostrazione quando ha intimato, davanti alle telecamere, prudenza e rispetto. Prudenza e rispetto oggi? A giorni e giorni dall’accaduto? Dopo aver pensato tutti per un minuto almeno di essere i potenziali assassini necrofili? Incredibile ma sì, oggi.
Pasolini già negli anni ’60-’70 aveva previsto tutto, aveva predetto che “non poteva e non potrà esistere niente di più feroce della banalissima televisione” ed oggi a quarant’anni di distanza dobbiamo dargli ragione, siamo sempre più vuoti, ci stanno azzerando e senza accorgercene stiamo scomparendo, sterili e senza stimoli.
Accendiamo le luci della mente, prendiamo i telecomandi e spegniamo le televisioni.
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