martedì 14 dicembre 2010

Cultura: panacea di un Paese malato


di Claudia Giannini
La cultura è l'urlo degli uomini in faccia al loro destino, sosteneva Albert Camus. E mi sento di interpretare quest’urlo come alternativa costruttiva rispetto alla finitezza umana. Cioè a dire, di fronte al memento mori dei monaci trappisti, possiamo opporre una ricchezza di vita costruita giorno dopo giorno con la cultura, intesa in senso lato come conoscenza del mondo umano in particolare e della natura in generale.
Di fronte a questa perla di Camus, è facile sentirsi atterriti in quest’Italia di inizio millennio dove la cultura, fresca di nuova vita popolare conquistata a duro prezzo nel Novecento, viene considerata alla stregua di un surplus rispetto alle esigenze della società. Specchio di questo atteggiamento è la politica scolastica e universitaria che è stata intrapresa da questo Governo e, per onor di cronaca, anche dai precedenti che si sono susseguiti. È miope, forse volutamente, chi non capisce come la cultura, soprattutto nella forma dell’educazione e del la formazione scolastica, sia la linfa vitale della nostra società.
Per cultura però si intende, oltre alla scuola, anche il patrimonio artistico che in Italia è fonte di ricchezza economica e non. E Pompei con i suoi crolli è solo l’ennesima dimostrazione dell’abbandono colpevole dei beni culturali del nostro Paese.
In ultimo, triste corollario di una situazione culturalmente arida, è il trionfo del nulla nei mezzi di comunicazione, primo fra tutti nella televisione. È paradossale come lo strumento meritevole di aver unificato in pochi anni un Paese linguisticamente diviso, sia diventato contenitore di nullità riuscendo a mettere in luce gli aspetti peggiori dell’immaginario collettivo, e non penso solo al Grande Fratello.
C’è però, bisogna dirlo, un’altra Italia, che nella cultura ci crede ancora e ci crede come bene pubblico da difendere ad ogni costo. È l’Italia degli studenti sui monumenti, dei ricercatori che vogliono ricercare, dei lavoratori che esigono di poter lavorare. È da questo segnale che si può e si deve guardare a un futuro ricco di cultura che sia pubblica, di tutti.
Su tre livelli quindi, dovrebbe rinascere il programma culturale del nostro Paese: Educazione, arte, comunicazione. Tre pilastri sociali su cui costruire il futuro, sfruttando la ricchezza del web.
Ci vorrebbe un Rinascimento del 2010 e forse la chiave di tutto questo potrebbe stare proprio nella rete, in Internet, oggi unico destinatario, oltre ai libri che non periscono mai, di una cultura popolare e capillare fruibile velocemente da tutti.
È questo l’augurio per il nuovo anno, sperando nel frattempo che la Camera oggi sfiduci Berlusconi, dando un messaggio positivo da cui ripartire.

Nessun commento:

Posta un commento