martedì 29 marzo 2011

L’anti-immigrazione come coesione


di Matteo Napolitano

Questo mondo, è un mondo migrante. Migrano gli animali e da animale migra l’uomo. Le ragioni del migrare sono date da condizioni di vita sfavorevoli e così, come l’uccello migratore fugge da climi avversi, l’uomo fugge dalle inside del tempo e degli spazi. Sono giorni concitati per l’isola di Lampedusa che, a seguito dei ribaltamenti politici susseguitisi in nord Africa e della conseguente instabilità socio-economica, dalla fine di febbraio ad oggi si è vista letteralmente e più del solito, “invasa” da un flusso migratorio che sembra non avere sosta. La domanda che i residenti del luogo pongono alle istituzioni è da tempo immemore la stessa: cosa fare di questi immigrati per rendere la situazione più sostenibile da entrambe le parti? Come prassi del contemporaneo dibattito politico le risposte tardano ad arrivare o meglio, arrivano indirettamente. Indirettamente perché nelle aule da giorni si subisce la pressione da parte dei gruppi leghisti, sostenuti (anche) dalle altre forze di maggioranza, che puntano il dito contro i “baluba insidianti” proponendo la maccheronica “cacciata” dal suolo natio (per inciso, spesso da loro parte rinnegato) con singoli finanziamenti per il rimpatrio e chissà, forse con qualche hostess al seguito. A parte velleità burlesche, il risultato dei continui battibecchi parlamentari non può far altro che creare disordini. La risposta dei residenti infatti, come volevasi dimostrare, non si è fatta attendere. Nei giorni scorsi sono state bloccate le navi che forniscono gli approvvigionamenti per i centri di accoglienza e la zona costiera è stata “barricata” da cittadini armati di slogan e sdegno condiviso proprio a rimarcare il fatto che, in un clima politico-sociale così teso, ciò che unisce è la confusione e il disorientamento, ciò che alimenta il fervore degli animi è il tanto temuto “nemico comune” oggi, purtroppo, ravvisabile nell’immigrato, nel disperato, nel “fuggiasco” o in termini generali nel “diverso” che insidia le nostre vite demo-burocratiche. Nel diffuso astio l’unica soluzione possibile sembra proprio l’assalto frontale e capisco, anzi cerco di capire, come risulti ostico proporre, per quanto le ritenga l’unica plausibile via d’uscita, “policies” di integrazione mirate alla ri-socializzazione nel rispetto della cultura e delle tradizioni altrui, specialmente in un periodo di incessante crisi economica. Forse solo “pensando forte” il vento di quest’utopia integratrice, perché in questo stato di utopia si deve parlare, può sfiorare i palazzi nazionali e magari solamente “cullare” i pensieri di Bruxelles.

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