lunedì 6 giugno 2011

Escherichia Coli, un killer dalla civiltà industriale


di Gabriele Primavera

Per chi non lo sapesse, l'E.Coli è una particolare specie di batterio che vive naturalmente in simbiosi negli intestini e negli apparati digerenti di numerose specie animali, incluso l'uomo: la sua presenza è infatti necessaria affinché il processo di digestione degli alimenti sia il più proficuo possibile.


Tuttavia questa specie potenzialmente innocua è in questo periodo salita, per lo meno in Italia, agli onori della cronaca nera a causa di ceppi ad elevata tossicità che, in molti casi, portano alla morte dell'infetto.

Negli Stati Uniti questo batterio, nelle sue versione più letali, era noto già da diversi anni, dopo aver mietuto svariate vittime, anche giovanissime, e aver causato il ritiro dal mercato di tonnellate di carne avariata.

Ma da dove viene, in realtà, questo batterio? Il peccato originale, denunciato da diversi attivisti d'oltreoceano, è il mais a basso costo: con il 45% della produzione mondiale (il secondo classificato, la Cina, ne detiene nemmeno il 20%), gli Stati Uniti hanno riconvertito la loro produzione alimentare (e non solo!) all'economia del mais.

Uno delle decine di utilizzi del mais, e forse il più impegnativo, è quello della produzione dei mangimi per allevamenti intensivi, una delle industrie più “made in USA” che si conoscano. La denuncia di pochi attivisti e tecnici del settore non al soldo delle multinazionali dell'allevamento, informa di come fosse noto che nutrire animali, specialmente mucche, con il mais, fosse un processo del tutto innaturale e che stava già manifestando un'alta incidenza di mutazioni del genere E.Coli all'interno dei rumini dei capi di bestiame.

In un qualunque stabilimento di allevamento intensivo, molto più simile ad una fabbrica che ad una fattoria, possono essere macellati dai 200 ai 400 capi/ora, le cui condizioni igienico-sanitarie creano l'ambiente perfetto per la diffusione del batterio. E la realtà di questa pratica si è estesa ben oltre il confine del “nuovo mondo”.

Il pesante utilizzo di antibiotici ha poi chiuso il cerchio, innescando il processo di selezione artificiale dei batteri, uccidendo i batteri E.Coli più deboli e creandone sempre di più forti, resistenti e tossici. E quanto ci mette un batterio che vive nel letame a diffondersi anche tramite altri alimenti, come le verdure, nella misura in cui il letame è usato, tra l'altro, come concime?

La società industriale, con l'abominevole applicazione del concetto di “economia di scala” al cibo, risorsa primaria per la sopravvivenza, ha creato una fitta rete di sfruttamento dissennato delle risorse, che oggi palesa la sua efficacia tramite l'E.Coli mortale, spacciandoci i metodi “rozzi” dei vecchi fattori come obsoleti ed insalubri. In realtà, da molteplici test condotti tra Europa e Stati Uniti nelle fattorie, si è scoperto l'esatto opposto: ovvero che i batteri nocivi hanno possibilità di formare una colonia 30 volte maggiore in un allevamento intensivo, che in un allevamento classico.

Ci hanno spacciato per progresso un meccanismo atto solo a rimpinguare i conti correnti di grandi società senza volto e, per tutta risposta, hanno messo a ricatto i nostri contadini e avvelenato il cibo di cui abbiamo bisogno. A quanto pare, la produzione a “chilometro zero” e la decentralizzazione degli allevamenti, oggi, non si pone più come una possibilità di gestione di cui discutere, ma come una condizione necessaria per garantirci una sopravvivenza più libera, senza delegare al “libero mercato” il nostro primo tra i bisogni primari.


Per maggiori informazioni su E.Coli e industria alimentare, si suggerisce la visione del documentario “Food Inc.”: http://megavideo.com/?v=9Z8V0FVO

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