mercoledì 1 giugno 2011

Il microfono di Varriale

di Andrea Passamonti
Scusate lo sfogo, ma quando è troppo è troppo.
Sabato si è giocata la finale di Champions League che ha consacrato il Barcellona di Guardiola, se ce ne fosse stato ancora bisogno, come una delle migliori di ogni epoca. Sempre la stessa partita ha dimostrato, se ce ne fosse stato ancora bisogno, il bassissimo livello dei giornalisti RAI, confermato il giorno seguente in occasione della finale di Coppa Italia.
Quello del giornalista sportivo è un mestiere sottovalutato, spesso affidato a sedicenti intenditori e saccenti ex giocatori, soprattutto in ambiente calcistico e soprattutto se a trasmettere l’evento è la nostra emittente pubblica. Se invece si cambia sport e soprattutto canale, la solfa (non sempre, ma molto spesso) è destinata a cambiare.
Non è un problema di antipatia che porta lo spettatore tipo a cambiare canale al solo mormorio di Enrico Varriale o Fabrizo Failla. È un problema di passione, competenza e curiosità.
Passione, perché non c’è cosa di più sbagliata di commentare uno sport che non si ama.
Competenza, perché non basta qualche anno di attività agonistica per essere buoni commentatori, né un’assunzione avuta anni prima. Nello sport (e nella vita) c’è sempre un apprendimento continuo e per capire veramente uno sport non basta guardarlo, bisogna studiarlo.
Curiosità, perché è solo attraverso questa che è possibile andare oltre la semplice descrizione di un evento e raccontare la storia di un giocatore, la filosofia di un sistema di gioco, la bellezza di uno movimento ben eseguito, l’empatia che c’è dietro una squadra.
Non è qualcosa di impossibile: ne sono esempi - solo per citarne alcuni - Gianni Clerici e Rino Tommasi nel tennis, Flavio Tranquillo e Federico Buffa nella pallacanestro o, se si vuole guardare in casa Rai, l’ottimo Franco Bragagna, che da anni commenta l’atletica.
Forse il problema è che i telecronisti tendono a essere lo specchio degli spettatori e questo giustificherebbe la presenza di pochi commentatori di calcio di livello. Sarà, ma questo sfogo non ha come obiettivo un’analisi sociologica, ma qualcosa di più concreto: vi prego, togliete il microfono a Enrico Varriale.

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