venerdì 11 novembre 2011

Quando internet ti aiuta a consumare responsabilmente...



di Martina Nasato
Vi siete mai chiesti da dove venga ciò che consumate? Come viene prodotto e da chi, che impatto abbia sull'ambiente?
Il web, che di consigli ne da tanti, ha oggi iniziato anche a dare qualche piccolo schiaffo morale.
Dimenticate gli accorati articoli di denuncia delle condizioni di lavoro nei paesi del Terzo Mondo, le statistiche sul lavoro minorile, gli studi sull'impatto ambientale che ha la produzione di determinati beni di consumo.
Oggi la sensibilizzazione è dinamica, quasi un gioco (molto serio). È finita l'epoca di questi "j'accuse" prolissi e un po' retorici. Ognuno di noi è chiamato in prima persona a fare i conti con le proprie scelte, con i propri consumi, senza essere costretti ad immedesimarsi in statistiche impersonali, poco chiare e spesso approssimative.
Ad esempio, sapete che i metodi di pesca del tonno incidono tantissimo sul resto della fauna marina, nonché sullo stesso ciclo riproduttivo dei tonni (spesso vengono pescati esemplari troppo giovani)? Per questo motivo Greenpeace ha stilato una classifica di tonni più o meno "buoni", relativa ai metodi di pesca (http://www.greenpeace.it/tonnointrappola/).
Per sapere invece qual è la vostra "impronta di carbonio" (ossia quanta anidride carbonica producono i vostri consumi in un certo arco temporale), il WWF vi offre due modi precisi per calcolarla: uno relativo ai consumi di energia domestici annuali, l'altro relativo alla spesa domestica (tenendo conto di parametri quali il tipo di imballaggio dei prodotti e la stagionalità o meno di frutta e verdura). Li trovate entrambi su http://www.improntawwf.it/.
Infine, un calcolo ancora più serio. È abbastanza noto ai più come i lavoratori dei Paesi del Terzo Mondo sopportino condizioni infime, dal punto di vista igienico, retributivo e della tutela sindacale. Tuttavia a nessuno di noi è mai venuto in mente di considerarli veri e propri schiavi al nostro servizio, anche se di fatto è così: schiavi delocalizzati, tenuti appena in vita per continuare a lavorare per noi. Noi li paghiamo nel prezzo di ciò che consumiamo, ma non li vediamo, così non ci sentiamo responsabili delle loro condizioni. A qualcuno però l'idea è venuta, e lo schiaffo ce lo da attraverso http://slaveryfootprint.org/ il quale, tenendo conto di numerosi parametri (la città in cui vivi, dimensioni della tua casa, tipi di consumi) ci dice orientativamente quanti schiavi nel mondo lavorano per noi. Io ho scoperto di averne 53, concentrati soprattutto in Asia. E sto già rivedendo le mie (presunte) necessità.

Nessun commento:

Posta un commento