martedì 25 maggio 2010

Latina, tra sparatorie e omertà


di Stefano Pietrosanti
Ormai non abito a Latina da un anno e poco più. Torno in città nei week-end, quando mi è possibile e comincio ad accorgermi che qualcosa è cambiato, non so se in me o nel luogo. Forse astraendosi dal luogo in cui si è cresciuti e poi ritornando, di volta in volta ci si sente sempre più turisti: i nomi dei politici locali noti si modificano lentamente, cambiano i bar, i profili di alcuni palazzi. Non so se è semplicemente questo a darmi questa strana sensazione di estraneità, o forse effettivamente c’è un cambiamento reale. Mi spaventano i titoli dei giornali locali quando passo davanti alle edicole, il loro snocciolare scontri a fuoco, atti d’intimidazione, rese dei conti tra malandrini locali che puzzano di qualcosa di più. Forse semplicemente mi sto disabituando al luogo, faccio più caso a certe cose. Ma sta di fatto che non ricordo questa continua sparatoria quando vivevo qui, questa escalation ancora rudimentale, ma che mi suggerisce preoccupazione. Una cosa che ho sempre adorato di Latina è stata la sua luce, e l’immobilità dei pomeriggi di sole. Questi non sono cambiati. Per quanto i profili cambino, sorga un grattacielo che lascia un po’ perplessi, spuntino rotonde rocambolesche un po’ ovunque e fasci littori in ferro arrugginito in mezzo agli edifici storici, i pomeriggi sono rimasti come sempre, non lasciano intuire niente di quello che – leggendo i giornali di qui – sembra essere una sorta di faida a intensità settimanale. Eppure evidentemente questo posto non è più così tranquillo. Se ogni settimana qualcuno prende una pallottola in una gamba, o subisce altri atti di violenza, mi viene da pensare che qualcosa stia degenerando. Ma io non sono più a tutti gli effetti un cittadino, non posso far molto più che accigliarmi; sono però sicuro che questa città continui ad essere abitata usualmente da tante persone oneste. Io mi chiedo e chiedo loro: se ricordate che questa città e’ una casa nuova, fatta a suon di zappe da profughi di ogni dove, vi ricorderete la riverenza dovuta ai suoi pochi anni? Nessun altro luogo d’Italia, nel bene o nel male, può avere la nostra storia da raccontare. Forse nessun luogo in Europa può odorare di fresco come le nostre case: qui l’uomo sta da appena settant’ anni, vi sembra il caso di andare a far parte di Gomorra? Credo che, nel caso io abbia ragione ed effettivamente qualcuno, con gradualità, pensi di farci abituare a una sparatoria a settimana e poi forse ancora più spesso, per poi arrivare a quella stasi vergognosa dei luoghi dove lo Stato ha perso, bisognerebbe avere ben presente che non è tardi e ancora non servono particolari eroismi. Basta applicare il detto “se vedi qualcosa, dì qualcosa”. Non rimanere fermi. Non essere indifferenti. Questa gente con le pistole, appellata a volte nei nostri quotidiani con soprannomi quasi innocenti, un po’ paesani, non è né un manipolo di “bravi furfanti”, né soprattutto un’attrazione folkloristica locale. È semplicemente una serie di delinquenti e così andrebbe trattata. La pubblica vergogna è l’arma migliore se ben usata. Non c’e’ nulla di romantico in queste figure, svegliamoci prima che si tenti la vera ipnosi. Mi imbattevo in un articolo del 26 Gennaio di Latina Oggi, in cui si definiva Carmine Ciarelli «una specie di leggenda», una figura «così ricca di storia e di suggestioni che da sole bastano a disorientare anche il più avveduto degli investigatori». Forse è un caso isolato, forse sono solo io ad essermi troppo astratto dalla realtà locale, ma forse è anche il caso di ricordare il discorso di Saviano sul rischio che i giornali locali, perfino involontariamente, diventino la grancassa di questi personaggi e che la società civile man mano scopra un brutta forma di reverenza verso chi, comunque e a prescindere da qualsiasi approfondimento, è un cittadino che non rispetta le leggi. Spero solo di essere smentito, spero che tutte le belle persone che conosco in questa città, davanti a qualsiasi minaccia, abuso, prepotenza, siano veloci e sicure a denunciare, parlare, non dubitino di dove sia la giustizia e dove no. Magari mi preoccupo troppo, ma sono convinto che dove manca il diserbante della pubblica indignazione crescano brutte erbacce.

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