martedì 1 giugno 2010

L'Italia dei mille e le mille "Italie"

di Matteo Napolitano
La città di Palermo nei giorni ventinove e trenta maggio sembrava tornata in quei concitati giorni di fine ottocento in cui si andavano a decidere le sorti del nostro paese, in cui si abbozzava il primo modello dello "stivale" che, con i ricorsi storici, sembra decisamente passato di moda. Mal rifinito e poco in linea con i "polpacci" delle nostre eterne contraddizioni, questo stivaletto "old style" o "vintage", come direbbero i migliori stilisti, continua a far parlare di sè e degli uomini che lo formarono, quelli che tutti chiamano eroi, quelli che io chiamo vittime sacrificali. L'iniziativa di Palermo organizzata dallo storico dell'arte Philippe D'Averio, va guardata, dal mio singolare punto di vista, con una buona dose di scettismo, senza nulla togliere alle buone intenzioni di partecipanti, guerriglieri e promotori.Lo scetticismo nasce dal fatto che in Sicilia dall'ormai lontano 1943 esiste un movimento d'indipendenza, il MIS, che ha e deve avere i suoi buoni motivi per portare avanti le sue posizioni.Dare l'indipendenza alla Sicilia significherebbe spezzare anche i nostri equilibri, in particolar modo quegli equilibri politici legati alle potenti cosche di cosa nostra che controllano i nostri bei palazzi con logiche sistematiche molto complesse e coadiuvati da coloro che favoriscono l'innescarsi di questi ingranaggi malavitosi ossia quelli che, un pò per sport un pò per interesse, frequentano questi palazzi."Isolare" la Sicilia significherebbe arginare, o meglio limitare anche se in piccola parte, la mafia, privarla di buona parte dei privilegi del nostro sudore costituzionale, renderla in qualche modo schiava dei luoghi in cui si è originata fino al punto di farla collidere con le sue stesse armi. Dicendo questo e ponendomi su queste posizioni non posso in nessun modo sorvolare l'ottima parte di siciliani onesti che purtroppo andrebbero a perdere, in un sistema così colluso, buona parte delle armi politico-istituzionali poste al loro servizio.In tutto questo a Roma il trenta maggio si è conclusa la mostra dedicata ad un grande poeta e cantautore del nostro tempo, Fabrizio De Andrè, che vicino all'indipendentismo sardo da anarchico pronunciò queste parole "IN CERTI PAESI COME FINISCE LA CACCIA AL CINGHIALE SI APRE LA CACCIA ALL'AMMINISTRATORE PUBBLICO", per dire che bisogna imparare a conoscere i nostri amministratori e i nostri "cinghiali", gonfi di buone parole ma vuoti del tutto di idee.

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