martedì 15 giugno 2010

La coscienza sporca della Prima Repubblica


di Stefano Pietrosanti
Quando il cinquantenne medio parla di politica, soprattutto se nella sua maturità ha goduto di qualche agio, spesso tira fuori accenni che si potrebbero riassumere come “eh, però certo che gli uomini della Prima Repubblica sì che erano uomini di stato…”.
Mi viene sempre un po’ da sorridere. Soprattutto quando apro il giornale e leggo che il governatore del Veneto, ex-ministro della Repubblica, ha deciso di far suonare a un’inaugurazione prima il Va Pensiero che l’Inno d’Italia. Non amo la Lega e non ne faccio mistero, ma sono anche convinto che le persone, anche quelle che ci lasciano più perplessi, sono comunque definite da un fondo di razionalità, per cui, anche nella più totale non condivisione, bisogna almeno fare lo sforzo di comprenderle.
Perché una parte rilevante dei votanti Italiani è arrivata a provare un tale disamore per la nostra democrazia? Non so se sia una mia perversione mentale pensare che forse una qualche colpa sia anche da ascriversi a quegli, a quanto pare ormai così rimpianti, “uomini di stato”.
Il motivo fondamentale per cui rifiuto quasi senza colpo ferire qualsiasi teoria complottistica sulla fine di un potere è che credo ci voglia un grande rispetto per ciò che è stato a livello storico. Un potere crollato normalmente ha ampiamente meritato il crollo, ne’ un potere ha mai continuato a esistere senza una qualche forma di consenso. Ora, la Prima Repubblica, per quanto abbia adempiuto all’eccezionale missione di ricostituire la democrazia in questo paese, ha sacrificato a infinite ragioni, contingenti o meno, una cosa fondamentale per la continuazione dello Stato: il già fragile affidamento degli Italiani nelle istituzioni.
Diceva un commentatore francese del XVIII secolo che, se normalmente gli Stati avevano a disposizione un esercito, in Prussia un esercito aveva a disposizione uno Stato. In Italia, cambiando i termini, si sarebbe potuto sostituire con “la burocrazia e i legulei.” Non voglio essere frainteso, non mi lancio in una serie di recriminazioni alla Brunetta, ma e’ vero che in molti campi questo Stato si distingue per la farraginosità e per una radicata abitudine clientelare. Questa e’ un’eredita’ della prima Repubblica, che certo non è stata intaccata con decisione da quelli che spesso sono i componenti delle seconde fila del potere d’un tempo.
L’ultima trovata di Zaia è solo questo: tanta irresponsabilità mista al profondo disamore che si è radicato nel tempo negli italiani verso il loro stesso paese, un disamore frutto di una certa innata tendenza al disperarsi facile, ma che non ci può non far ricordare come ci servirebbe una profonda e seria critica di ciò che siamo stati, per immaginare ciò che vorremmo essere.

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