martedì 10 maggio 2011

La necessità dell’autodifesa

di Stefano Pietrosanti
Deleuze, in una sua video-intervista reperibile su youtube, parlando di Platone dice una bellissima frase: “la polis ateniese è una rivalità di pretendenti”. Con questo sostiene che Platone, inventando il concetto di “Idea”, abbia creato proprio uno strumento fondamentale per il sistema politico democratico che, essendo un sistema basato sulla legittimazione della comune pretesa alle posizioni di potere, deve creare un sistema di coordinate di riferimento per dirimere lo scontro e scegliere tra i pretendenti. Aggiungo: forse l’uso corretto di questi metri e segnavia marca a fuoco la differenza tra la “forma retta” (la politia) e la “deviazione”, ossia la democrazia intesa come distillato dei suoi difetti, come peggiocrazia, crogiolo di multiformi tirannidi instabili a trazione popolare.


Il problema che pone l’ascesa delle estreme destre al potere in tutta Europa è proprio di questo genere: un problema di pretese, scopi dichiarati e taciuti, uso di metri. La questione è che queste destre che ora portano l’Ungheria fuori dal novero dei paesi che garantiscono il pieno delle libertà politiche, insidiano la penisola baltica, girano con elmi cornuti in Italia, si propongono di affondare l’edificio politico europeo stilettandone il cuore in Francia, non pretendono le posizioni di potere insite nei nostri Stati, garantite dalle nostre carte costituzionali, queste forze pretendono qualcos’altro. La nuova costituzione ungherese ne è un segno evidente: nell’asservire tutto all’arbitrio dell’esecutivo, nel richiamare il Dio cristiano nella sua lettura reazionaria a dignità costituente, segna la chiara sigla della volontà di rendere impossibile la vita politica a tutti coloro che non rientrano nel metro di una maggioranza attuale.

Credo sia interessante notare un’altra cosa: le estreme destre vengono spesso criticate per non essere “democratiche”; così enunciata, questa critica è una bufala e coloro verso le quali viene indirizzata hanno modo facile di prendersene gioco. Ma come - dice il fascista nascosto o manifesto – tu che mi vorresti impedire, se non fossi vigliacco, di dire la mia saresti più democratico di me? Tu che limiti il potere di scelta dei cittadini vincolando gli Stati a tutti gli intricati cavilli di foreste di trattati internazionali, saresti più democratico di me? Tu che vedi nelle leggi costituzionali nate dalla Resistenza alcuni principi intangibili, fuori dalla possibilità di revisione popolare, critichi come non democratico me che ne sostengo la possibilità di riconsiderazione e modifica?

Il grave è che, limitando il concetto di democrazia a quello di consenso popolare momentaneo espresso tramite voto, l’ipotetico fascista ha pienamente ragione; così in ciò possiamo trovare un’importante lezione sul peso dei termini in politica, sulla necessità di stretta accortezza nel loro uso.

E’ un dato, infatti, che questi movimenti si autonominino “destra democratica” con coscienza piena. Nessuno di questi movimenti spregia mai il diritto di voto di ogni singolo cittadino, né nessuno esprime dubbi sulla bontà del metodo maggioritario per la scelta delle decisioni comuni; nell’azione politica, queste forze si rifanno proprio a una presunta volontà maggioritaria da restaurare, a un presunto potere popolare che vale la pena ricostituire a livello nazionale o sub-nazionale. Per questo non pretendono i poteri garantiti dalle attuali costituzioni, ma usano un potere che già hanno – quello di agire politicamente per la distruzione di ordinamenti che sembrano non esprimere volontà di autodifesa e conservazione, proteggendoli e legittimandoli con la loro inazione – per crearne più o meno evidentemente di altri al fine di costituire e plasmare il loro potere in sistemi che potrebbero differire dall’attuale non tanto per il diritto o meno che avranno i cittadini di votare, quanto per chi si potrà effettivamente considerare cittadino in questi sistemi, per chi avrà ancora il complesso dei diritti politici e personali garantiti.

Quindi possiamo vedere chiaramente come il problema per cui questi movimenti non sono compatibili con le attuali regole della vita pubblica continentale non sia prioritariamente di natura democratica, ma di natura legale e liberale: sono forze palesemente eversive, che, pur a parole idolatre dello Stato, sono negatrici di qualsiasi Stato. Perché qui risiede la vera contraddizione: movimenti che vogliono restringere e chiudere i margini dello Stato in un mondo che si liquefa e si espande, sono movimenti che condannano lo Stato – nella sua espressione moderna, basata sulla preminenza e la tutela dell’individualità all’interno della società – a collassare sulla Comunità – concetto ben più arcaico, che indica il sistema degli individui che ha scopi di sopravvivenza complessiva rispetto ai quali nessun singolo può emergere -. In questo collasso si vengono a creare poi naturalmente problemi di democraticità, poiché nessuna Comunità sulla difensiva, per quanto vasta, può permettere al suo interno un dibattito integro e competizioni elettorali veridiche, che richiedono vere possibilità di scelta sul tavolo del discorso pubblico. Sono, però, solo effetti secondari di un problema precedente.

La questione, forse in un’ottica pessimista, pare questa: è stata necessaria la seconda guerra mondiale per chiarire all’Italia che una Costituzione modificabile con legge ordinaria non era una vera tutela per l’ordinamento liberal-democratico, cosa sarà necessario per capire in Europa che movimenti politici paramilitari come la Guardia Magiara vanno sciolti velocemente, con ruvida decisione e forza?

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